Dark Waters: ultima fermata l’orrore

Uscito nel 1993 e poi scomparso con immeritata fretta, Dark Waters di Mariano Baino vive oggi una seconda giovinezza grazie all’edizione DVD italiana della neonata Shockproof: rivederlo adesso significa compiere perciò un vero salto nel tempo, a quando l’opera faceva capolino dalle nostre parti solo attraverso gli scambi dei collezionisti, i mercati cinematografici o la trasmissione sulla defunta Tele+. Una fruizione frammentaria e un po’ nascosta, di cui resta testimonianza la mancata realizzazione di un doppiaggio italiano. I venticinque anni trascorsi raccontano così le speranze deluse di un genere horror che altrimenti sarebbe potuto diventare ben altro rispetto alla più consolidata ripetizione di tante formule odierne a base di spaventi e riproposte. Dark Waters, in effetti, è una sorta di ultima fermata per un genere che negli anni Novanta sembrava davvero voler effettuare quel salto di qualità capace di trasfigurare le visioni carnografiche in una dimensione più metafisica – tarkovskiana verrebbe da aggiungere, pur con i debiti distinguo, anche per la presenza insinuante e a tratti dirompente dell’acqua, che il Maestro russo riteneva proprio il “simbolo del tempo stesso e dell’esperienza umana nel tempo”. Che poi era un pallino di tutto il miglior horror italiano, basti pensare a certi slanci dell’Argento di Suspiria e Inferno, del Fulci de L’aldilà o del Soavi de La chiesa.

Proprio questi progenitori si rivedono in filigrana nel lavoro di Baino, che decontestualizza l’ambientazione in un’isoletta del Mar Nero, girando in inglese con una troupe dell’ex Unione Sovietica. Eppure, nella conflittualità religiosa e nelle iconografie delle suore assassine il suo lavoro richiama una cultura italiana e europea, che con certe dinamiche ha sempre duettato e duellato (da Giulio Berruti e Pupi Avati a Ken Russell). Il viaggio della giovane Elizabeth sull’isoletta natale per indagare sul culto che lì si consuma, diventa così necessariamente una riscoperta delle proprie origini, quasi a ribadire la natura riflessiva dell’operazione. Baino la porta avanti con un incedere attento alle atmosfere e spesso ermetico nella concatenazione degli eventi, corteggiando il senso cosmico dell’orrore lovecraftiano (evidenziato nel finale) e una ostinata convinzione nella possibilità di coniugare le “pratiche basse” del genere e le possibilità più alte della narrazione d’autore. La ristrettezza dei mezzi, più evidente in alcuni momenti, si rivela perciò un ulteriore e gustoso motivo di immersione in una possibilità dell’orrore che conquista anche dopo tanti anni per il suo particolare fascino. A fare la differenza è infatti uno sguardo che riesce a elaborare gli spazi, deformandoli con il grandangolo e reinventandone gli interstizi per dare vita a una sorta di struttura a vasi comunicanti, dove si distinguono a fatica il dentro e il fuori, generando l’impressione di un mondo dalle coordinate sovvertite, goloso nel suo continuo snocciolare nuovi ambienti, eppure minaccioso nei suoi giochi d’ombra espressionisti. Il tutto è esaltato dalla qualità del nuovo master HD approntato per l’edizione DVD, che rappresenta un buon biglietto da visita per la nuova label. A corredo una serie di interessanti extra, prodotti per l’occasione, in cui Baino rievoca lavorazione e influenze, mettendo in fila l’amore per la lettura e la predilezione estetica per le creature fantastiche che si è poi rivelata non solo attraverso il cinema, ma anche nel disegno: l’uscita del DVD è stata infatti accompagnata dalla mostra ARS Infecta: The Art of Dark Waters, che si è svolta al Macro Testaccio di Roma dal 31 Ottobre al 2 Novembre 2017 con una serie di materiali visivi e installazioni utili a mostrare il percorso visivo messo insieme per il film e a fornire un’esperienza complementare alla visione. “Un sequel, un prequel, e uno spinoff: storie che si intrecciano con la storia che ho raccontato nel film, e storie che fanno parte dello stesso universo, e attingono dalla stessa mitologia”, nelle parole dello stesso regista. L’auspicio è che l’esperienza possa non rimanere isolata, ma dare realmente vita a prosecuzioni in forma cinematografica o cartacea, magari con un libro a tema.