1966-6FB The Saturday Evening Post-Bob Dylan: 1966-6FB-005 July 30, USA 1966

Dylan/Schatzberg: immagini e parole per un mito

Nel 1965, Jerry Schatzberg,  affermatosi grazie al suo lavoro con le riviste, incontrò un giovane Bob Dylan già nell’olimpo della musica. Dylan invitò il fotografo nello studio dove stava registrando un album che sarebbe diventato Highway 61 Revisited. Le fotografie di Schatzberg catturano Dylan durante uno dei momenti più cruciali della storia della musica e includono le riprese di quello che sarebbe probabilmente diventato il suo più grande album, Blonde on Blonde. Immagini essenziali e intramontabili, che non solo resistono alla prova del tempo, ma sono anche diventate visivamente sinonimi di uno degli artisti più importanti del XX secolo. Dylan/Schatzberg (Skira, pag.262, euro 55) riunisce i leggendari scatti di Schatzberg fatti a Bob Dylan, all’apice della sua carriera: i ritratti di studio, le fotografie in sala di registrazione, le rarità, i concerti. A fare da corona fra le fotografie c’è una lunga, approfondita intervista, un meraviglioso diaogo fra Jonathan Lethem e Jerry Schatzberg:”Jerry, mi chiedo se tu, in un senso o nell’altro, riesca a vedere le tue foto di Dylan dall’esterno. Per quanto mi riguarda, è come se le vedessi sotto una doppia prospettiva. Da un lato, sono nato nel 1964, i miei genitori erano dei fan di Dylan e avevano una discreta collezione di LP. Quindi alcune di queste immagini sono parte del mio bagaglio…”. Ad aprire il volume c’è un articolo di Al Aronowitz pubblicato il 12 dicembre del 1965 sul New York Herald Tribune, resoconto di una incredibile notte passata fra bar, autisti, coyote, marinai con Bob Dylan e Brian Jones. In apertura Fotografie per copertina Saturday Evening Post (1966).

Dylan scherza 1965

 

 

Per gentile concessione di Skira Editore pubblichiamo un estratto dal reportage Una notte con Bob Dylan di  Al Aronowitz.

 

Bob Dylan si staccò dal giradischi, barcollò fino a una poltrona, agitò le mani sopra la testa e si mise seduto a guardare la tv. Sullo schermo Soupy Sales sorrideva dietro una torta spiaccicata sulla faccia. Alle sue spalle, una doppia immagine di Elvis puntava due pistole verso la stanza da una tela argentata di Andy Warhol coperta con il cellophane. “Lo odio…” disse Dylan. “Gli farò un buco nello stomaco e ci infilerò dentro un tubo dell’acqua.” Si alzò e con passo da cowboy si diresse in cucina per chiedere a qualcuno di preparargli un tè. Il sorriso di Soupy Sales si rifletteva ancora sulle lenti grigie dei suoi occhiali da sole. Non era l’appartamento di Dylan; l’aveva preso in prestito da qualcun altro. Sul pavimento, un tappeto di visone faceva da tovaglia a diverse tazze, piattini e mucchietti di cenere – insieme ai posacenere che avrebbero dovuto contenerla. Diverse altre persone si muovevano per la stanza, chi camminando e chi restando seduto sulla sua sedia girevole.

Suonò il campanello. Era Brian Jones dei Rolling Stones con una limousine che lo aspettava. Dylan cancellò il volto di Soupy Sales dallo schermo, Robbie Robertson si liberò dell’autoharp che teneva sulle ginocchia e tutti si dileguarono. Dylan uscì per ultimo. Tolse il vinile dei Temptations dal giradischi, lo nascose sotto il doppiopetto di velluto a coste e strizzò l’occhio in direzione di una lampadina. Il suo tè, intatto, rimase a raffreddarsi nella tazza. Una volta salito in macchina, Dylan chiese di poter scendere all’isolato successivo.

“Stai scherzando, vero?” reagì Brian Jones.

Charlie, l’autista della limousine, domandò se il gruppo fosse diretto in centro. “Io scendo al prossimo isolato”, disse Dylan, “ma tutti gli altri vanno in centro…” “Grazie, signore”, fece Charlie. “Non andiamo da nessuna parte”, intervenne Milly, un’amica di Brian. “Stai zitta!” incalzò Dylan, “smettila di fare tutto questo casino se non vuoi essere data in pasto agli ispettori dei vigili del fuoco…e, ti avviso, sono molto affamati.” “Cosa?” gridò Milly. La macchina si fermò all’angolo e lei, in un modo o nell’altro, venne sbattuta fuori… “Attenta agli ispettori!” gridò Brian. “Che assurdità”, disse Dylan. “Scherzo ovviamente, in America non ne ce ne sono più.” La limousine si fermò davanti a un bar sull’Ottava. Dentro al locale una donna muscolosa colse tutti di sorpresa arrivando di corsa per abbracciare Dylan. “Dovresti essere bendata per fare questa cosa!” sbottò lui. “Abbraccia il mio amico Brian invece… mi somiglia molto di più!” … “Qui si può scrivere sui muri”, disse Dylan una volta arrivati al tavolo. “È l’unico bar che conosco in cui puoi fare una cosa del genere senza che nessuno ti chiami poeta.” … Dei marinai si avvicinarono al gruppo che alla fine decise di andare via. “Dove è Harold l’autista?” chiese Bob Neuwirth, un cugino di terzo grado di Dylan. “Quello non è Harold”, rispose Dylan. “È Mr. Egg, ed è solo per caso che non siamo io o te.” “Ahhh”, esclamò Neuwirth. “Due punti per me!” fece Dylan. “E, per inciso, come fai a sapere che il suo nome non è Egg?” “Dove stiamo andando?” chiese uno che tutti chiamavano Hare-up. “Allo zoo.” “Voi americani dovete essere dei gran rammolliti”, disse Jones. “Ce li avete i coyote?” Un marinaio saltò sul tavolo e sorrise a Brian che ricambiò con un ringhio. “Mi piacciono i tuoi capelli”, disse il marinaio. “Cosa c’entrano i capelli?” sbottò Dylan. “Pensavo stessimo andando allo zoo”, ribatté Neuwirth. “Ecco quello di cui abbiamo bisogno”, fece Brian Jones, “di coyote.” ”Sei sicuro che siano proprio i coyote, quelli a cui ti riferisci?” domandò Dylan. “E tu sei sicuro che stiamo andando allo zoo?” ribatté Brian Jones. “Sii te stesso”, suggerì Dylan. Tutti si incamminarono verso l’uscita, mentre il marinaio saltò giù dal tavolo e li seguì. “Non andiamo da nessuna parte”, disse Bob Neuwirth. Dylan si piegò su Brian Jones e chiese: “Dimmi, Brian, come mai il vostro cantante non ha i baffetti a fiammifero?”.

Dylan sulla scala 1965

 

Dylan scherza 1965