Homecoming: su Prime Video, una seconda stagione in tono minore inficiata dalla meccanicità dell’intreccio

La memoria è il fondamento della nostra identità e del mondo che abitiamo. […] ‟conoscere è ricordare”, dove il ricordo è innanzitutto un ri-accordo, che dalla dispersione genera unità e nell’unità rintraccia quell’identità soggettiva e oggettiva che siamo soliti chiamare “Io” e “Mondo”.  Umberto Galimberti

 

 

 

Il cinema ha spesso messo al centro del suo immaginario la memoria (oltre a essere dotato di un dispositivo narrativo che permette di recuperare fatti del passato, il flashback). Solo per citare alcuni titoli di generi disparati: il dottor Edwards di Io ti salverò è affetto da amnesia, Leonard Shelby si tatua il corpo per superare la sua amnesia anterograda in Memento, dello stesso disturbo soffre Lucy in 50 volte il primo bacio, Wolverine di X-Men è senza ricordi, Jason Bourne nella saga che lo vede protagonista ha come scopo delle sue missioni ricordare, Atto di forza parla di come i ricordi degli altri ci rendano a tutti gli effetti un’altra persona, in Eternal Sunshine of a Spotless Mind ( Se mi lasci ti cancello) i personaggi arrivano a farsi cancellare i ricordi per preservarsi dal dolore. Persino la pesciolina Dory di Alla ricerca di Nemo ha problemi con la memoria a breve termine. La serie Homecoming aggiunge un ulteriore tassello agganciando la questione della memoria al disturbo da stress post traumatico dei soldati di ritorno da Iraq e Afghanistan. Creata dagli esordienti Eli Horowitz e Micah Bloomberg a partire dal loro omonimo podcast – con protagonisti Catherine Keener, Oscar Isaac e David Schwimmer realizzato per Gimlet Media a fine 2016 -, Homecoming è un thriller psicologico con la durata da comedy (pochi gli episodi che superano i 30 minuti).

 

 

 

I dieci episodi della prima stagione (2018), diretti da Sam Esmail (il creatore di Mr. Robot), vedono come protagonista Julia Roberts – al suo debutto nella serialità –  nei panni di Heidi Bergman responsabile di un progetto per la reintegrazione in ambiente protetto dei veterani di ritorno dal fronte condotto dalla Geist (nome non casuale), una multinazionale che fa prodotti per la casa. Al centro delle vicende il suo rapporto con il soldato Walter Cruz (Stephan James), ma anche con il suo capo Colin Belfast (Bobby Cannavale), con la madre (Sissy Spacek) e con Thomas Carrasco (Shea Whigham) che indaga sulla vicenda per il Dipartimento della Difesa. Un gioco di disvelamenti continui (dovuti al fatto che la Bergman non ricorda nulla del suo lavoro alla Geist), estremamente avvincenti, per arrivare alla ricostruzione dell’intreccio e mettere al loro posto tutte le tessere del puzzle. Grande lavoro di regia: Esmail omaggia il cinema degli anni 60-70 con l’uso dello split screen e in particolare Brian De Palma utilizzando la musica di Vestito per uccidere di Pino Donaggio nel primo episodio e Stanley Kubrick con la riproposizione di Sarabande di Händel nel nono, alterna il formato per le due linee temporali (il presente del 2022, freddo e acido, in 4:3; il passato del 2018, caldo e accogliente, in 16:9), in ogni episodio c’è un’inquadratura dall’alto che contestualizza e nello stesso tempo astrae lo spazio e ci induce a guardare le cose da un altro punto di vista, inserisce i titoli di coda sulle immagini finali silenti dell’episodio… Anche la scrittura si rivela all’altezza: tanti i simboli sparsi a partire dall’acquario con pesci e palme su cui si apre il primo episodio, ai giochi di ruolo dei soldati, così come la scenografia della Geist in stile Escher o quella della struttura dove si trovano i veterani, sorta di oasi con specie protette, in un esterno desolato e paludoso. Nella seconda stagione (7 episodi disponibili su Prime Video dallo scorso 22 maggio) la Roberts e Esmail cedono il passo rispettivamente a Janelle Monáe e a Kyle Patrick Alvarez rimanendo, però, come produttori esecutivi. La serie si apre con la Monáe (cantautrice che si è data al cinema, l’abbiamo vista in Il diritto di contare e in Moonlight) su una barchetta in mezzo al lago. Non sa chi sia e nemmeno perché si trovi in quel luogo. Ricostruendo i fatti che l’hanno portata lì scoprirà la sua vera identità. Meno avvincente della prima, questa seconda stagione è a tutti gli effetti il suo proseguimento e infatti ricompaiono Walter Cruz e Colin Belfast, mentre ha un ruolo da coprotagonista Audrey Temple (Hong Chau), la receptionist della Geist, su cui si chiudeva la stagione 1. Episodi che appaiono più meccanici e scontati nello svolgimento, per arrivare a un finale consolatorio e buonista. Non giova neppure l’inserimento di grandi attori come Chris Cooper (è Leonard Geist, il capo della multinazionale responsabile a sua insaputa dell’esperimento, un coltivatore superato dagli eventi) e Joan Cusack (è Francine Bunda, ufficiale di Stato Maggiore, che prende in mano la situazione vedendola come un personale riscatto) che finiscono per risultare macchiettistici.