La mitomane: la serie francese che guarda all’America

Una casalinga disperata sull’orlo di una crisi di nervi finge di avere un tumore al seno per attirare l’attenzione dei suoi cari, la ottiene, ma la situazione le sfugge di mano. È un dramedy che omaggia le casalinghe di Wisteria Lane ideate da Marc Cherry, Mytho (in italiano La mitomane, in onda su Netflix), serie francese creata dalla scrittrice Anne Berest e da Fabrice Gobert (già autore di Les Revenants, e anche regista dei sei episodi) e che strizza l’occhio a Almodóvar, all’Alan Ball di American Beauty per l’inquietante ambientazione in villette residenziali di periferia, e non si fa mancare un momento in puro stile Magnolia quando, nel secondo episodio, tutti i personaggi, in momenti diversi, cantano Stand By Me. Elvira Giannini (Marina Hands), impiegata in un’agenzia di assicurazioni, vive con Patrick (Mathieu Demy), un fotografo fallito che organizza festival amatoriali e che la tradisce con la farmacista del posto (Linh Dan Pham). I due hanno tre figli, tutti in crisi: Sam (Jérémy Gillet), il maggiore, si veste e si pettina come la ragazza che vorrebbe essere, ma si caccia nei guai nascondendo la sua vera identità al coetaneo tedesco che ospita in camera sua; la mascolina Carole (Marie Drion), arrabbiata con il mondo intero, è l’involontaria responsabile di un grave incidente occorso a un amico; Virginie (Zelie Rixhon), la piccola di casa e la più sensibile, dopo essersi documentata di nascosto sulla malattia della madre, dà vita a un blog per bambini che diventa seguitissimo.

 

 

Completano il cast Nonno (un redivivo Andrea Roncato), pizzaiolo artista che non permette modifiche alle sue creazioni, Isa (Julia Faure), l’amica veggente di Elvira, Jeff (Jean-Charles Clichet), il fratello depresso di Patrick e gli apparentemente perfetti vicini di casa che hanno non pochi scheletri nell’armadio (non a caso il primo episodio si apre sulla vicina che ha avvelenato il marito, ma c’è anche la famiglia patinata che in realtà litiga, e l’inquietante donna a capo di una setta non meglio identificata…). In qualche modo tutti i personaggi mentono, ma Elvira sfida il tabù per eccellenza, quello della morte, e si ritrova in una situazione difficile da gestire, da cui non riesce a uscire, vittima dello stesso ingranaggio che ha innescato. Una serie coraggiosa, dallo humour nero sotteso, ai limiti del cinismo, che si interroga sulle modalità di relazione tra gli individui. A un certo punto sembra girare un po’ a vuoto facendo comparire personaggi immaginari e aprendo molti filoni – come il passato misterioso di Maria Magdalena, secondo nome di Elvira, la comparsa di Lorenzo… – che verranno esplicitati nella seconda stagione, prevista fin dall’inizio e confermata da Arte anche alla luce degli ottimi ascolti e dei riconoscimenti ricevuti (Premio del pubblico e per la miglior attrice al Festival Séries Mania 2019). Gobert si dimostra regista di valore con travelling a effetto (come quello dei personaggi che vanno in controtempo rispetto al procedere di Elvira), panoramiche verticali, attenzione ai dettagli. In un’intervista ha rivelato di essersi ispirato all’universo iperrealista di David Hockney, «al contempo pop e malinconico». Molto azzeccata la colonna sonora con brani che spaziano dagli Air agli UTO, da Julien Clerc a Charles Aznavour solo per citarne alcuni. Proprio ad Aznavour è affidato il compito di aprire, con Il faut savoir, e chiudere la serie con Morire d’amore, giusta chiosa di questa prima stagione: «Chi mi capirà non mi condannerà. / La gente è piena di problemi / Piccole idee, Soliti schemi».