Solarpunk: uscire dal vicolo cieco della distopia per raccontare il futuro

Sull’influenza del cyberpunk sulla fantascienza, e sull’estetica in generale dagli anni ’80 si è detto più o meno tutto, ogni parola in più rischia di essere superflua, come superfluo, e spesso inappropriato, è l’utilizzo acritico e sconsiderato del suffisso punk appiccicato con lo sputo a una pletora di sottogeneri della speculative fiction che con lo spirito sovversivo e profondamente politico della creatura di William Gibson e Bruce Sterling poco o nulla hanno a che vedere. Questo succede spesso, ma non sempre. Da qualche anno a questa parte sta prendendo forma un movimento, il Solarpunk che presenta più di una similitudine con il cyberpunk e che, forse, per una volta, non utilizza il suffisso punk a sproposito. Del Solarpunk si parla da qualche anno, il fermento c’è eppure non se ne riesce ancora ad afferrare un nucleo chiaro e inequivocabile, forse anche per questo cresce ma rimane in sordina, rifuggendo in qualche modo le luci della ribalta. Definire il Solarpunk non è semplice. Parlarne come di una fantascienza utopica e ambientalista è parlare a vanvera tagliando il concetto con l’accetta senza realmente capirlo. Anzitutto, il Solarpunk non è soltanto un sottogenere della fantascienza, è un’estetica diffusa che interessa le arti, la scienza e soprattutto la tecnologia. E più che di utopia è corretto parlare, e qui entra in gioco lo spirito punk, di rifiuto di una certa estetica, e del pensiero che l’accompagna, che hanno finito per validare il sistema che volevano combattere. Il Solarpunk contesta fermamente, ma consapevolmente, il pensiero di Mark Fisher secondo cui sarebbe più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. Il Solarpunk una filosofia delle exit strategies applicate, una forma di resistenza che tiene conto della forza reale del sistema che contesta, il turbo capitalismo rampante, mettendo in atto la propria resistenza nel tracciare percorsi alternativi nelle crepe e negli interstizi che si aprono nel sistema stesso pur senza l’illusione di rovesciarlo, almeno in tempi brevi, in favore di un mondo basato sull’uguaglianza, sull’ambientalismo, e sulla giustizia sociale.

 

 

Solarpunk – come ho imparato ad amare il futuro (FutureFiction,  pag.345, euro 16),  è un’antologia di FutureFiction, lo stupendo e importante progetto di Francesco Verso, che lavora costantemente per portare in Italia la produzione fantascientifica di tutto il mondo, con un’attenzione particolare ai suoi trend significativi. Il volume contiene diverse short stories e due saggi, testimonianza del grande lavoro di elaborazione che caratterizza il movimento, che raccontano il tentativo e la necessità di trovare soluzioni, sia di politiche che tecnologiche, alle sfide globali che l’umanità si trova ad affrontare nel presente prima ancora che nel futuro. La questione ambientale, il cambiamento climatico, il rapporto tra l’uomo e la tecnologia, la disuguaglianza sociale sono l’oggetto della riflessione di racconti concettualmente complessi ma profondamente radicati nella concretezza della realtà quotidiana. Il rifiuto del fatalismo nichilista e la ricerca di forme di lotta alternative alla violenza caratterizzano una narrazione che apre la strada a un pensiero politico che va oltre la frustrazione e la rassegnazione, alla ricerca di una via che coniuga la possibilità di pensare una reale alternativa con la consapevolezza dell’oggettiva difficoltà di realizzarla.