Su Netflix The Eddy: jazz in Paris, vena compositiva, malinconie e sussulti

Multifocale e multilinguistica, malinconicamente rapsodica, eppure ariosamente corale. Non ha un baricentro evidente la mini-serie tv The Eddy (otto episodi visibili su Netflix), ma ciò appare la conseguenza di una scelta pienamente consapevole, che modula l’andamento delle diverse storie che la compongono sull’anima jazz che ne è denominatore comune. Al punto che, pur essendo la narrazione sostenuta da apporti in apparenza dissonanti, tentati da percorsi autonomi, è la musica stessa a ricondurli gradualmente a unità. La genesi del progetto, datata 2013, già poteva far presagire uno sviluppo sbilanciato sul versante musicale: fu il compositore Glen Ballard (uno che vanta vari Grammy in bacheca, che ha lavorato con Alanis Morissette e Annie Lennox, con Michael Jackson e Natalie Cole) a coinvolgere nella sfida i registi Alan Poul e Damien Chazelle (che stava per cimentarsi con Whiplash) e cooptare pure il drammaturgo Jack Thorne. Tutti e quattro costoro figurano quali produttori esecutivi di The Eddy: Thorne si è inoltre sobbarcato il coordinamento della sceneggiatura e la stesura dei dialoghi; Ballard ha condiviso la realizzazione delle partiture (a tratti deliziose) con Randy Kerber, il quale appare pure in veste di attore; Chazelle e Poul hanno firmato la regia di due episodi a testa, mentre i restanti quattro sono stati diretti da Houda Benyamina e Laïla Marrakchi.

 

 

La vicenda si svolge a Parigi – ripresa disdegnando la cartolina e mescolando invece sapori etnici con colori da periferia vitale – dove l’americano Elliot Udo (André Holland, perfetto nel ruolo) gestisce insieme all’amico magrebino Farid (Tahar Rahim, che fu protagonista del folgorante Il profeta di Jacques Audiard) un jazz club di incerta fortuna, appunto “The Eddy”. Il primo è stato pianista di gran fama e ha lasciato il palcoscenico per motivi misteriosi, seguendo infine il suo trombettista Farid nella città dove questi ha famiglia. La band su cui i due hanno investito tempo e risorse stenta però a decollare, a dispetto della bravura dei musicisti, mentre nei dintorni del locale, che accumula debiti in serie, si aggirano tipacci che non promettono nulla di buono. Elliot, che ha una relazione controversa con la cantante del gruppo (Joanna Kulig, magnifica interprete di Cold War di Pawlikowski), si ritrova anche a dover sopportare le bizze della figlia adolescente, che giunge a sorpresa dagli States con la benedizione della madre vanesia. C’è uno sviluppo crime che pare prendersi a un certo punto il centro della scena di The Eddy, destando molta curiosità e altrettante aspettative; ma è una falsa pista, e si rivela infine l’elemento più debole del racconto, inadatto a seguire sull’altalena il jazz, che mette il proprio marchio su tutti i momenti salienti del film. Molto naturale per contro, senza smancerie né costruzioni ardite, la gestione delle dinamiche familiari, amicali e sentimentali, che interessano un poco alla volta i vari personaggi (otto dei quali, quelli che danno il titolo ai singoli episodi, sono messi a fuoco con uno sguardo dedicato) e si intrecciano con disinvoltura, generando variazioni sul tema e digressioni che sempre rifluiscono nella strada principale.

 

 

I primi due episodi, entrambi targati Chazelle, sono anche quelli dove la dialettica tra macchina a spalla e pianisequenza trasmette sensazioni maggiormente nervose, salvo acquistare serenità man mano che la storia rischiara alcuni angoli bui, senza peraltro mai abbandonare del tutto l’opacità che la permea. In un’opera che esalta (anche) il potere lenitivo e balsamico della musica pur riconoscendone i limiti taumaturgici, l’attenzione alla colonna sonora e alla qualità delle performance sul palco non deve certo stupire: per garantire questo risultato, gli ideatori della serie hanno addirittura corso il rischio di perdere parecchio sul piano drammatico, chiedendo a un manipolo di ottimi musicisti, digiuni però di recitazione, di interpretare i loro personaggi anche oltre l’esibizione live. Missione compiuta, tutto funziona a dovere, sublimandosi in un finale collettivo che ha il solo difetto di seminare indizi di un possibile seguito, che sarebbe tuttavia una forzatura (secondo Variety la decisione per un’eventuale Season 2 verrà presa a luglio 2020).