Undici metri: fenomenologia del calcio di rigore

downloadE alla fine è arrivato il più bel libro di calcio dell’anno, si tratta di Undici metri – Arte e psicologia del calcio di rigore di Ben Lyttleton (TEA pag.398 euro 16), giornalista inglese collaboratore del Guardian, della BBC e direttore direttore di Soccernomics, agenzia di consulenza calcistica. La cover è crudele: c’è Roberto Baggio ripreso dall’alto dopo avere sbagliato con il Brasile nella sciagurata finale di Pasadena. Data per scontata la carica metaforica del penalty e il fatto che tutti, anche i meno esperti, si emozionano davanti ad un torneo che finisce ai rigori, mancava un saggio che incrociasse aspetti tecnici, risvolti storici, psicologici, segreti balistici e ricordi dei calciatori. Ora, finalmente, l’abbiamo. Mi ha raccontato Demetrio Albertini, che ha segnato il rigore nella finale a Usa ’94 e ha sbagliato quattro anni dopo contro la Francia, che tutti evidenziano l’adrenalina che scorre quando parti da centrocampo per la camminata che ti porta verso il dischetto ma nessuno sottolinea cosa si prova quando devi fare il percorso contrario dopo avere sbagliato: attraversi l’inferno. Il pathos che vivono i giocatori è il medesimo che abita le tribune (lo schermo tv invece media, modifica leggermente la percezione). Il rigore è il calcio ridotto alla sua essenza: un pallone, una porta, un calciatore, un portiere. Niente altro, un duello western che ricorda l’uno contro uno del basket. Roba per gente dai nervi saldi: ero a Berlino nel 2006 per la finale Italia-Francia e ho avuto la tentazione di distogliere lo sguardo al tiro decisivo di Grosso (Gattuso ha confessato di essersi infilato sotto la panchina e di non avere visto nessun penalty). Questi stati d’animo, relazionati ai gesti tecnici, sono l’essenza del saggio. Una delle migliori riviste di calcio si chiama Panenka, come il centrocampista cecoslovacco che nel 1976 ha vinto ai rigori gli Europei contro la Germania e in quell’occasione ha inventato il “cucchiaio”, replicato negli anni da vari Totti, Zidane, Pirlo.  Nessuno ricorda altri giocatori di quella squadra e per Lyttleton è un rigorista-simbolo, un artista che ha rischiato tutto:”dopo la partita alcuni politici dissero a Panenka che se avesse sbaglito sarebbe stato punito, perché quel modo di tirare avrebbe potuto essere interpretato come forma di mancanza di rispetto verso il comunismo.” Il libro propone svariati ritratti di rigoristi (più il portiere tedesco Harald Schumacher, protagonista nella semifinale con la Francia di Spagna ’82), imperdibile quello di Martìn Palermo, l’argentino che nel ’99 ha stabilito un record che nessuno vuole battere: in Colombia -Argentina 3-0 ha sbagliato 3 rigori (due fuori e uno parato).

 

Grosso a segno nella finale con la Francia a Berlino
Grosso a segno nella finale con la Francia a Berlino

 

Ricco di tabelle, il saggio ci informa che la Nazionale peggiore ai rigori è l’Inghilterra, ci è finita 7 volte vincendo solo una, noi non è che brilliamo, 8 serie per 3 vittorie. Ovviamente la prima è la Germania con 5 vittorie e una sola sconfitta (da notare che nelle squadre di club i tedeschi precipitano sul fondo della classifica delle trasformazioni e Inghilterra e Italia occupano le prime due posizioni). Altro dato da non sottovalutare è che nella serie, siano competizioni per club  o per Nazionali, chi calcia per primo ha più possibilità di vincere: le percentuali, nei vari tornei, oscillano fra il 59% e il 61% a favore di chi inizia a tirare.

Qui sotto il leggendario rigore di Antonìn Panenka