Tre metri (e 5 cm) sopra il cielo: cinema e basket

Quando il corpo del campione si fa cartoon. O quasi. È notizia dei giorni scorsi che il 16 luglio 2021 arriverà nelle sale Space Jam Legacy, ovvero il sequel/reboot del film di Joe Pytka, che nel 1996 mescolava le iconoclaste creature cartoon dei Looney Tunes e il corpo in carne e ossa – ma “non di questo mondo” – di Michael “Air” Jordan  (stando alle parole di Larry Bird: MJ non era MJ, ma «Dio travestito da Michael Jordan»). Nel tempo Space Jam o SJ è diventato quasi un marchio, come la Coca-Cola, come il Dream Team, come le orecchie di Topolino, come MJ…Stavolta si incontreranno in un improbabile uno-contro-uno il coniglio grouchomarxiano Bugs Bunny e il colosso dei Lakers LeBron James. Per chi ama “il Gioco” sarà comunque un piacere e, per chi ha visto Space Jam da piccolo, un modo per tornare fanciullo. Nel corposo filone del cinema sportivo USA, un genere a parte è proprio quello che vede la palla a spicchi al centro della scena. 

 

Colpo vincente di David Anspaugh

 

A differenza della boxe, la pallacanestro non è tra gli sport più “cinematografabili”, eppure la serie di film dedicati allo sport inventato da James Naismith è impressionante, quasi infinita. Sia in forma di fiction (perfino in pastiche animato…) che documentaria. Da I pesci che salvarono Pittsburgh con Doctor J a Basta vincere con “Shaq” fino a He Got Game con un giovanissimo Ray “Jesus Shuttlesworth” Allen, spesso per raccontare il basket sul grande schermo si è ricorsi a campionissimi o astri nascenti NBA. Le star della pallacanestro, ma anche di altri sport, negli USA al liceo o al college hanno frequentato drama classes proprio in questa prospettiva. Non è un film sportivo ma la performance strepitosa di Kevin Garnett in Uncut Gems dei Safdie Bros. è un’ulteriore prova delle doti recitative di alcuni giocatori. A proposito di gioielli, la  punta di diamante del basket cinema – a oggi – resta Hoosiers. Colpo vincente di David Anspaugh, definito da Federico Buffa «il Blade Runner del genere» (cfr. Black Jesus). Nessuna star dello sport sulla scena, ma attori del calibro Gene Hackman e Dennis Hopper a dare corpo a coach e assistant coach in modo realistico e memorabile.

 

 

Il caso più recente e popolare di (non solo) basket cinema è il documentario in dieci puntate The Last Dance (Netflix) sugli “alieni” Chicago Bulls di MJ. Alcuni hanno criticato l’operazione: «non è giornalismo», «troppo celebrativo, come uno spot», «la macchina da presa negli spogliatoi è ormai prassi dei canali sportivi”… Si è letto davvero di tutto, ma era impensabile che un prodotto griffato Bulls e MJ potesse mettere a fuoco le ombre di quello spogliatoio ed è comunque assurdo accostare anche solo un fotogramma dello spogliatoio dei Bulls (in cui MJ gioca d’azzardo…) alle riprese dei calzettoni arrotolati o amuleti in armadietto di una qualunque altra squadra di qualsiasi sport. L’ultra epica storia sportiva dei “tori” di Chicago (l’ultimo ballo e il sesto anello) è talmente incredibile, adrenalinica e “cinematografica” di per sé che sarebbe stato un film clamoroso anche se lo avesse diretto Tommy Wiseau. Detto questo, gli episodi più interessanti sono quelli meno jordancentrici, ovvero i capitoli su Pippen e su “The Worm” Dennis Rodman. Se cercate le ombre di quello spogliatoio o i vizi, oltre al genio, di MJ potete sempre recuperare il notevole volume Michael Jordan, la vita di Roland Lazenby (ed. 66th and 2nd). Sempre su Netflix sono visibili documentari come Iverson sull’ex stella dei Philadelphia 76ers e il recente, bellissimo Q Ball sulla squadra carceraria di San Quintino (“fratelli minori” dei Golden State Warriors). Un altro capitolo del basketball cinema è quello dedicato ai playground con titoli come Rebound, Più in alto di tutti sul leggendario Earl “The Goat” Manigault, Chi non salta bianco è con la coppia bianco/nero Woody Harrelson/Wesley Snipes (secondo imdb uno dei film preferiti di Stanley Kubrick), fino a Ritorno dal nulla (The Basketball Diaries) con un giovane Leonardo DiCaprio nei panni dello scrittore, ex cestista ed ex tossicomane, Jim Carroll. Infine è appena uscito, on demand, lo struggente Tornare a vincere di Gavin O’ Connor, con Ben Affleck nei panni di ex giovane promessa del basket liceale, poi adulto fallito  e alcolizzato in cerca di riscatto. “Vita da dropout” e “sport” è un vero binomio classico di redenzione nel grande racconto americano. Spesso ci sono problemi con le traduzioni dei termini tecnici (la versione italiana di Colpo vincente è inguardabile, anzi inascoltabile, per qualsiasi appassionato). Il notevole sito di basket La giornata tipo ha notato alcune imprecisioni tecniche anche nei sottotitoli italiani del recente The Last Dance e la (peraltro ottima) traduttrice si è pubblicamente scusata, promettendo di aggiustare i termini non corretti. Tempo fa in un’intervista che avevo fatto a Ettore Messina dopo la sua prima vittoria NBA da headcoach ai San Antonio Spurs (Popovich assente per malattia), il grande allenatore italiano, oggi all’Olimpia Milano, mi aveva raccontato: «Chi ha curato il doppiaggio italiano di Hoosiers – Colpo vincente palesemente non sa niente di pallacanestro… Peccato perché uno dei migliori insegnamenti – non solo sportivi – ci arriva proprio da quel film. Quando coach Gene Hackman dice ai suoi ragazzi: “I’ll be learning from you as you’ll be learning from me!” (Imparerò da voi, così come voi imparerete da me). Sapere ascoltare e osservare gli uni gli altri è la base dell’etica, non solo sportiva».
Amen.