Donne all’Idroscalo: a Sguardi Altrove 31 Punta Sacra di Francesca Mazzoleni

La linea dell’orizzonte è quella che si impone, questione di contatto tra cielo e mare, e di variazioni di blu che verso il tramonto tendono al cobalto delle nuvole. Siamo all’Idroscalo di Ostia, sulla foce del Tevere, tra gli abitanti del quartiere che resistono all’assalto del demanio, delle ruspe che hanno demolito un po’ di case e del Porto Turistico che sta lì senza dare nulla a nessuno. È qui che Francesca Mazzoleni ha trovato Punta Sacra, il documentario che passa nella sezione #FrameItalia a Sguardi altrove. Il tocco è lieve, privo di certa pensosità che ingrigisce a volte i documentari: la regista sembra quasi portarsi dietro quella leggerezza d’approccio appartenuta al suo film d’esordio Subito, storia d’adolescenza milanese che qui sembra ribaltata nel dialogo tra una estrema periferia romana intrisa d’umanità e un tessuto sociale che nutre valori invece di coltivare disperazioni.

 

 

Ci sono prevalentemente donne in Punta Sacra (questo il nome con cui tutti conoscono il quartiere romano alla foce del Tevere), impegnate a preservare le case sopravvissute dieci anni fa al passaggio delle ruspe del comune: donne mature, che conoscono le lotte, parlano tra di loro di comunismo e di sinistra che non c’è più; e poi donne giovanissime, le loro figlie adolescenti, che giocano tra di loro ai primi amori, agli screzi con le amiche, alle chat sugli smartphone. Qua e là appare qualche uomo e un paio di sacerdoti, che stanno sul territorio e organizzano la festa di quartiere: dal karaoke risuona una cover di periferia dell’ Hallelujah di Leonard Cohen e le ragazzine recitano qualche pensiero. Il magma umano pulsa di discussioni anche dure, se c’è da lottare di nuovo quelle donne lotteranno: la t-shirt col Che si indossa non per moda e sono capaci di crescere figli come il rapper Chiky Realeza, nei cui bei testi (lontani anni luce da quelli dei trapper) risuonano argomenti di esistenza e di resistenza capaci di dialogare con valori politici antichi, quelli che gli sono stati raccontati da padre cileno fuggito dalla dittatura di Pinochet…Del resto, se Chiky Realeza si staglia sulla scena del film con una evidenza molto precisa non è solo perché è l’unica figura maschile di questo gineceo ostiense nutrito di resistenza, ma soprattutto per la sua capacità di creare un ideale punto di contatto tra i vissuti presenti di quelle ragazzine sulle quali Francesca Mazzoleni si concentra con una tenerezza che quasi non riesce a controllare, e il retroterra lontano di quella condizione sociale: le storie pregresse che emergono da una dimensione conflittuale antica, conosciuta dal giovane rapper perché tramandatagli dal padre cileno, popolata di Allende e delle canzoni e dei versi di Victor Jara, che gli hanno aperto un mondo.

 

 

Francesca Mazzoleni, insomma, si ancora a una radicalità della dimensione femminile che nutre il presente e cerca di dargli un senso: non a caso l’altra scena determinante di Punta Sacra è quella, bellissima, in cui una madre cerca di dare alla figlia la prospettiva di una dignità tutta sua, fatta di studio per crescere e andare oltre quel microcosmo in cui sta forzatamente crescendo. Su tutto spicca poi naturalmente la figura di Franca, presenza sanguigna e identitaria autentica, vero e proprio genius loci sul quale la regista costruisce la trama di una narrazione forte e precisa. È tornando sempre a lei che il film, pur nella scansione in capitoli, trova il suo punto fermo, la narrazione di uno stare che ha un motivo preciso, una sua storicità nella quale si puntella l’approccio sostanzialmente lieve adottato dalla regista, la sua voglia di affidarsi troppo alla vaghezza delle ragazzine, che fa quasi il paio con l’eccesso di prospettive aeree assicurate dal drone. Punta Sacra resta un film fatto d’umanità, prima ancora che di concetti e di stile, e questo è di sicuro il suo valore aggiunto.