Gabriele Vacis: Smith & Wesson deve molto alla letteratura e al cinema americano

Si chiamano come i due celebri fabbricanti americani di armi: Smith e Wesson. Ma anche come una delle coppie più amate dei cartoni animati: Tom (Smith) e Jerry (Wesson). Nomi stravaganti che si accompagnano a professioni altrettanto bislacche: Wesson vive da sempre nei pressi delle cascate del Niagara ed è conosciuto come “il pescatore” (non di pesci, ma di cadaveri perché tante sono le persone che saltano dal parapetto), mentre Smith è arrivato da poco (in fuga dai creditori) ed è una sorta di meteorologo che fa previsioni in base a sue personali statistiche. Sono loro i protagonisti di Smith & Wesson, scritto da Alessandro Baricco e messo in scena da Gabriele Vacis con la produzione dei Teatri Stabili di Veneto e Torino.

A interpretarli una inedita e azzeccatissima coppia formata da Natalino Balasso e Fausto Russo Alesi, entrambi perfetti nel dare corpo e anima a personaggi grotteschi, surreali, ironici, cinici e nostalgici. Inseparabili – come i loro nomi e cognomi – lo diventano in poco tempo. Un giorno vengono avvicinati da Rachel (Camilla Nigro), un’aspirante giornalista di ventitré anni in cerca di uno scoop che per cambiare vita è decisa a fare il grande salto. E a farlo in senso letterale: il 21 giugno 1902 si butterà dalle cascate per scrivere un articolo, creando un evento a cui le persone pagheranno per assistere (un caso di spettacolarizzazione della notizia ante litteram che peraltro riprende un fatto storico: nel 1901 Annie Taylor Edson, per far quattrini ed evitare una vecchiaia di indigenza, si fece chiudere in un barile e venne lanciata dal punto più alto delle cascate del Niagara). Un incontro, quello con Rachel, destinato a cambiare per sempre la vita di Smith e Wesson, come racconta la signora Higgins (Mariella Fabbris), locandiera del luogo cui spetta il compito di tirare le fila. Abbiamo incontrato Gabriele Vacis.

 

Uno spettacolo ambientato nel 1901, ma che parla dell’oggi.

Assolutamente sì. L’idea di fondo è che in quegli anni è cominciato il turismo, prima gli uomini erano viaggiatori, esploratori, dal 1900 in avanti siamo diventati turisti.

 

Come spesso succede nei testi di Baricco, c’è un immaginario che richiama la letteratura e il cinema americano.

Sì, anche se dal punto di vista cinematografico, forse sono più americano io di Baricco. Per esempio c’è in atto tra noi una discussione più che decennale se, come epopea della mafia, sia meglio C’era una volta in America oppure Il Padrino. Io tengo per Coppola, lui per Leone. Invece, i riferimenti letterari vanno da Salinger a Fitzgerald, a Hemingway che sono gli autori con cui siamo cresciuti entrambi.

 

C’è anche un omaggio ai fratelli Lumière (il loro treno compare sullo schermo nella sequela di fatti accaduti il 21 giugno).

Credo che oggi il cinema è nella nostra vita, siamo cresciuti a pane e cinema e quindi anche quando facciamo il teatro il modo in cui pensiamo alla fine è molto cinematografico. Magari può succedere anche per negazione, nel senso che in teatro si è lì presenti, e questo ovviamente è il suo valore: il teatro evoca, il cinema mostra. Quando, per esempio, dobbiamo portare il pubblico «dentro le cascate del Niagara», come dice la didascalia di Baricco che è quasi una sfida per il regista, abbiamo la necessità di evocarle, non possiamo mostrarle come farebbe il cinema.

 

Come ha lavorato con Natalino Balasso e con Fausto Russo Alesi?

Fausto lo conosco da quando, a 18 anni, si è presentato alla Paolo Grassi. È stato mio allievo, quindi diciamo che ne ho seguito la formazione. È la prima volta che lavoro con lui, ma era un pezzo che desideravo farlo e mi piaceva l’idea di metterlo alla prova in una situazione per lui non usuale, di fianco a un attore come Natalino Balasso che è apparentamente lontano. Invece, devo dire che abbiamo trovato un’alchimia buona grazie alla bravura, ma anche alla curiosità e alla capacità di mettersi in gioco, di tutti e due. A me piacciono gli attori che escono dalle righe, che non hanno voglia di stare dentro ai ruoli prestabiliti. Anche Natalino, con cui ho lavorato spesso, è qui in un ruolo insolito.

 

Come è nata l’idea di mettere in scena il testo di Baricco?

In realtà è nata prima che Baricco lo scrivesse, nel senso che è venuto a vedere un mio spettacolo, I rusteghi di Goldoni, in cui Natalino Balasso era il protagonista. Alla fine era entusista di Natalino (tanto che il personaggio di Smith lo ha scritto pensando proprio a lui) e mi ha detto che avrebbe scritto un testo. E lo ha fatto.

 

Ha fatto dei tagli rispetto al testo originale?

C’è qualche taglio, ma non cose sostanziali. Abbiamo fatto un’inversione che riguarda la “confessione” di Rachel su cosa si sarebbe persa se fosse morta. Baricco l’ha messa in fondo e attribuita a Wesson nel finale, invece, noi l’abbiamo anteposta e affidata a Rachel. Quando l’abbiamo fatto vedere a Baricco, non ha avuto nulla da dire, ha approvato senza battere ciglio. Sapevo che gli sarebbe andato bene. Comunque l’abbiamo messo di fronte al fatto compiuto.

 

Milano                Teatro Elfo Puccini    fino al 5 febbraio

www.elfo.org

 

Reggio Emilia   Teatro Ariosto            7-8 febbraio

www.iteatri.re.it