Giorgio Barberio Corsetti: Pier Paolo! Una partita di calcio dedicata a Pasolini

locQuando Enzo Biagi gli chiese «Senza cinema, senza scrivere, che cosa le sarebbe piaciuto diventare?», Pier Paolo Pasolini non ebbe dubbi: «Un bravo calciatore! Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri» (La Stampa, 4 gennaio 1973). E lo era un bravo giocatore, una fantasiosa ala destra, che giocava non appena si presentasse l’occasione, un tifoso sfegatato del Bologna che non perdeva una partita della sua squadra e un fine conoscitore del calcio che considerava come «l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo» (Europeo, 31 dicembre 1970), tanto da definirlo «un sistema di segni, cioè un linguaggio, con i suoi poeti e prosatori» (Il Giorno, 3 gennaio 1971). È anche al Pasolini calciatore che rende omaggio Giorgio Barberio Corsetti con Pier Paolo!, mettendo in scena una vera e propria partita di calcio suddivisa in due tempi, con un intervallo, la musica dal vivo, le incursioni di attori e comparse che interrompono le azioni o danno vita a scene sugli spalti, attingendo alle poesie, alle pagine dei romanzi, ai film. Tantissimo il materiale a cui si fa riferimento con momenti in cui la reinterpretazione restituisce appieno la potenza e l’attualità del pensiero di Pasolini (le interviste di Comizi d’amore mantengono la loro carica dirompente anche oggi, sugli spalti di una partita di calcio). Il tutto ripreso e trasmesso su maxi-schermo. Un’impresa da realizzare e un rito unico a cui partecipare. Ne abbiamo parlato con Giorgio Barberio Corsetti.

 

Come è nato questo spettacolo-evento-partita dedicato a Pasolini?

Nel 2014, in occasione del rilancio del cammino di San Francesco promosso dalla regione Lazio mi hanno chiesto di fare qualcosa, ed è venuta fuori l’idea di fare uno spettacolo che avesse una presa popolare e nello stesso tempo parlasse di quello che piace a noi. È stato quasi automatico pensare a una partita dedicata a Pasolini. Dopo la prima esperienza di Rieti, che è stata un po’ sperimentale – tra l’altro con fior di co-registi perché c’erano con me Roberto Rustioni e Fabio Cherstich, e poi dopo Gabriele Dino Albanese che ha lavorato alla drammaturgia – piano piano lo spettacolo si è raffinato, fino a diventare quello che abbiamo fatto a Pietralata lo scorso ottobre per l’anniversario della morte di Pasolini. È uno spettacolo che si crea un po’ sulla strada, andando avanti. A Pietralata ci siamo trovati in questo campo da football, che si chiama Albarossa, in cui lo stesso Pier Paolo aveva giocato ed eravamo con ragazzi che provenivano dai centri di accoglienza, ma anche da una squadra locale, che non conoscevano Pasolini, mentre i loro nonni magari lo avevano incontrato nella sezione del PC o sul campo di calcio. Quindi è stato anche un ritorno sui suoi luoghi (tra l’altro, si tratta del quartiere che racconta in Una vita violenta).

 

Quali squadre si sfidano a Milano?

Una è composta da un gruppo di ragazzi arrivati da poco in Italia che studia nella scuola Asnada, l’altra è più legata a Olinda, persone di qui che, in qualche modo, automaticamente, possono richiamare del pubblico che fa parte del quartiere o della città, perché il calcio ha una presa immediata. Nello stesso tempo nella partita ci sono personaggi, testi, figure che vengono dall’universo di Pasolini, dalla sua scrittura poetica che, però, si è espressa con la poesia, con i romanzi, con i saggi, gli articoli sui giornali da giornalista e con i film. Noi abbiamo raccolto tutto questo materiale, facendo una specie di costruzione di drammaturgia anche affettiva nei suoi confronti.

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Sono tanti i personaggi che intervengono…

C’è il poeta, che in qualche modo tiene i fili del racconto, è che è nel campo di calcio perché nel frattempo avviene una vera partita con i gol, con il gioco, con l’intervento dell’agonismo, e che di tanto in tanto viene interrotta. I giocatori hanno una complicità con noi, alcuni recitano dei testi di Pasolini, alcuni arrivano appena appena a formularli perché, comunque, parlano una lingua che non è la loro. Poi a unire il tutto, a creare una specie di ponte tra un intervento e l’altro, ci sono i cori dei tifosi che sono fatti con i ragazzi della non-scuola di Olinda che invece di essere cori da tifosi, sono versi, epigrammi molto graffianti di Pasolini. Anche in questo caso c’è una specie di risposta degli spalti al gioco che è, nello stesso tempo, gioco agonistico e gioco teatrale.

 

Ci sono anche molte citazioni dai film di Pasolini?

Sì, c’è un brano di Mamma Roma, un altro da La notte brava, sceneggiatura che lui aveva scritto, ma non realizzato, lo fece poi Bolognini, in cui si vede proprio la differenza che c’è tra una scrittura e una realizzazione. Ci sono due personaggi che vengono da Porno-Teo-Kolossal, film che non ha mai realizzato, che dovevano essere interpretati da Ninetto e da Edoardo, e che nello spettacolo sono interpretati da un comico napoletano e da un attore romano. Ci sono le tre puttane di Mamma Roma e c’è anche Il valzer della toppa, che è stato interpretato da varie cantanti, ci sono delle dispute… E poi c’è il Ministro Troía, che è un ministro ovviamente democristiano con delle parti prese dalle poesie e da Petrolio, potrebbe essere anche un uomo politico di quelli che conosciamo, ovviamente un po’ sopra le righe, però riconoscibile per la sua natura un po’ corrotta.

 

E l’arbitro?

L’arbitro è Roberto Ustioni che, oltre a essere regista insieme a me, è anche il regista in campo. Fin da subito dice di essere il diavolo, quindi un arbitro sui generis che litiga spesso con il poeta e che rappresenta il consumismo. A  un certo punto dice: «Io sono la prassi dell’ideologia del potere», frase tratta da L’histoire du soldat di Pasolini che ho messo in scena qualche anno fa.

 

Naturalmente ci sono anche gli scritti di Pasolini sul calcio.

Corsetti_PP2_63Certo, sono testi molto belli. Ci sono due strani effetti, per me almeno, quando ascolto Pasolini, che sono fondamentali. Prima di tutto, ogni volta, c’è l’amore per il nostro Paese. Dice delle cose in alcuni passaggi, in certi momenti, che ci fanno amare l’Italia, tra l’altro proprio attraverso i giovani. Da una parte li critica, dall’altra parte c’è un amore profondo. L’altro effetto è che mette una luce sul calcio – sport anche molto abusato – totalmente diversa. È lo sguardo di un poeta su un momento estremamente popolare e coinvolgente che, pur nelle degenerazioni di showbiz, di affari che conosciamo, ha qualcosa in sé, legato forse all’agonismo, di primario e di fortemente poetico. Infine c’è il lato divinatorio di Pasolini, penso alla poesia che si chiama Profezia. Nello spettacolo c’è un’attrice siciliana che la recita con accento siciliano, e con tutti questi ragazzi dietro, improvvisamente capisci che quest’uomo, questo poeta negli anni 60, aveva scritto una cosa che poi si è verificata, che è successa, che sta succedendo. Parla di questa gente che arriva dal sud attraverso le navi, queste “triremi rubate ai porti coloniali” e ti chiedi come abbia fatto, non c’erano segnali di quello che sarebbe avvenuto, all’epoca. Pasolini aveva una sensibilità molto profonda, un ascolto nel cuore del sociale, che gli ha permesso di registrare dei movimenti e dei mutamenti che ha denunziato e di cui noi non possiamo non tenere conto.

 

Hai creato questo evento anche per rivalutare in qualche modo le periferie, penso ai laboratori che hai fatto a Pietralata in vista della realizzazione dello spettacolo.

Esattamente, a Milano siamo ovviamente in una specie di nucleo fortunato perché al Paolo Pini c’è Olinda, c’è il festival, c’è il teatro, insomma arriviamo in una zona già coltivata, siamo in una struttura, però mi sembra che siamo in perfetta assonanza con quello che cercano di fare qui.

 

Ci saranno altre date?

Io spero sempre di sì, ma non è semplice, è un lavoro che richiede comunque un intervento, un periodo di laboratorio. Per esempio, c’è un interesse da parte della Francia; ad Avignone stanno cercando di fare, dentro al Festival, un teatro che entri nel sociale in maniera diversa e tutti si dicono molto interessati a questo esperimento. Staremo a vedere.

 

 

Milano                        Olinda             fino al 3 luglio            h. 19.30

ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini – via Ippocrate 45

www.olinda.org

www.fattorek.net