A Merano GESTURES – Women in action, viaggio nella Body Art femminile

Sophie Calle, Mon Ami, 1984
Sophie Calle, Mon Ami, 1984

La mostra GESTURES – Women in action, a cura di Valerio Dehò e visitabile fino al 10 Aprile 2016 a Merano Arte, presenta 40 opere- fotografie, video, oggetti e collage- che ripercorrono le espressioni più significative della Body Art femminile dagli anni Sessanta ad oggi. Sono lavori che esplorano il tema del corpo femminile impiegato come mezzo espressivo primario per veicolare un pensiero di protesta e sovvertimento dei valori costituiti, realizzati dalle più importanti esponenti della Body e Performance Art attive già dagli anni Sessanta e Settanta, quali Yoko Ono, Marina Abramovic, Valie Export, Yayoi Kusama, Ana Mendieta, Gina Pane, Carolee Schneemann, Charlotte Moorman, Orlan, alle esperienze più recenti di artiste quali Sophie Calle, Jeanne Dunning, Regina José Galindo, Shirin Neshat, Silvia Camporesi e Odinea Pamici. L’esposizione si sviluppa in senso cronologico, fatta eccezione per l’ingresso del museo dove è esposto il violoncello dell’artista e musicista americana Charlotte Moorman e il video che mostra la performance in cui l’artista ha impiegato tale strumento. Sulla grande parete che dal piano terra accompagna i tre piani espositivi, campeggia una grande fotografia di Marina Abramovic, tratta dal lavoro Delusional del 1994. La prima sala interna propone una serie di immagini e video di Yoko Ono, pioniera di questa corrente, già attiva negli anni Cinquanta nel movimento Fluxus. In mostra, il celebre video e alcune fotografie della performance Cut piece (1965). Seguono alcune immagini della performance eseguita dall’artista con il marito John Lennon: Bed In (1969). Si prosegue con una serie di foto e video di Marina Abramovic.

Yoko Ono & John Lennon, Bed-ins for Peace, 1969
Yoko Ono & John Lennon, Bed-ins for Peace, 1969

La seconda sala presenta la performance Blood sign (1972) dell’artista cubana Ana Mendieta, i cui lavori esprimono una ritualità legata alle antiche culture indigene. In dialogo con quest’opera, una fotografia de Azione sentimentale (1973) di Gina Pane, una delle grandi esponenti della Body Art in Italia. L’artista Giapponese Yayoi Kusama, nota oggi per i suoi dipinti e installazioni dai motivi ossessivi,  è presente con un lavoro degli anni Sessanta legato al movimento hippie. Il percorso espositivo continua con un’opera che ha al centro della sua poetica la protesta femminista contro la sofferenza psichica e fisica subita dalle donne, quella dell’artista austriaca Valie Export.

 

Gina Pane, Azione sentimentale, 1973
Gina Pane, Azione sentimentale, 1973

Un’altra importante artista e conosciuta per il suo lavoro sul corpo, sulla sessualità e sui generi, è l’americana Carolee Schneemann. L’esposizione presenta una serie fotografica che documenta la performance Ice naked skating (1972), oltre che un’opera parte della straordinaria serie Eye Body (1963). Al centro della sala, due grandi fotografie della francese Orlan, famosa per le operazioni di plastica facciale e di chirurgia estetica attraverso le quali ha modificato il proprio corpo rendendolo materiale artistico primario e riflettendo sul tema dell’ibridazione tra natura e tecnologia. La rassegna prosegue con la piccola, preziosa fotografia di Sophie Calle: Mon ami (1984). Le opere dell’artista francese, dal sapore voyeuristico, esplorano il tema dell’identità e intimità femminile. La grande sala al secondo piano, ospita un’immagine di Balkan Baroque performance con cui Marina Abramovic ha ottenuto il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 1997 e in occasione della quale ha trascorso parecchie ore al giorno seduta in mezzo a una montagna di femori di manzo, raschiando i rimasugli di carne e canticchiando motivi serbi. Un’altra piccola opera, a fare da contrappunto all’immagine della Abramovic, è quella di Jeanne Dunning, dalla serie Long Hole (1994-96). Il lavoro dell’artista statunitense riflette sulla relazione che ognuno intrattiene con la propria singolare fisicità, identità e sessualità. L’opera dell’iraniana Shirin Neshat rivolge invece particolare attenzione al ruolo sociale della donna nelle società islamiche contemporanee. In mostra è una visione oscura e intima, da un cortometraggio del 2001 (Pulse). Il percorso continua con  Il sale della terra (2006) della giovane fotografa italiana Silvia Camporesi, che ha saputo creare un universo molto delicato e poetico. Più corporea e provocante la triestina Odinea Pamici che con Ballo per Yvonne (2005) gioca con gli stereotipi femminili, con i simboli del matrimonio e della cucina come spazio consacrato alla donna dalla tradizione. Chiude la rassegna la performer guatemalteca Regina José Galindo. Nelle sue performance, che definisce “atti di psicomagia” l’artista opera con una gestualità aggressiva sui propri limiti fisici e psicologici, trasformando il proprio corpo nel teatro di un conflitto permanente.

Orlan, Smiley blood test with an harlequin’s hat, 5th surgery-performance titled Operation-opera July 6, 1991
Orlan, Smiley blood test with an harlequin’s hat, 5th surgery-performance titled Operation-opera July 6, 1991