Alì, il più grande di tutti

80Pugni chiusi e guantati. Che hanno scritto la storia dello sport e contribuito a cambiare la storia del costume del Ventesimo secolo. Quelli di Muhammad Alì sui ring di tutto il mondo. Su quel quadrato certo per battersi, per perseguire un riscatto sociale, per donare orgoglio e forza ai neri d’America. Alì ha combattuto fra le dodici corde, ed è stato “facile”: era nato per quello, per essere il più grande. Ma ha sfidato anche il governo degli Stati Uniti e quella è tutta un’altra questione. Il 28 aprile del 1967 si presenta all’ufficio di ammissione alla leva a Houston, dove è stato convocato per il reclutamento. Per entrare nell’esercito bisogna dire il proprio nome e fare un passo avanti. Alì quel passo non l’ha mai compiuto:”rifiuto di essere coscritto nelle forze armate degli Stati Uniti perché pretendo di essere esonerato in quanto ministro della religione islamica”. Viene condannato a cinque anni di prigione e a una multa di diecimila dollari. Nel giugno del 1971 la Corte suprema gli dà ragione con verdetto unanime. Il fatto è che dopo avere spedito k.o. Zora Folley a un mese dal rifiuto della leva, Alì non sale più sul ring per tre anni e mezzo. Quella scelta (obbligata) gli costa fra borse e sponsor almeno dieci milioni di dollari. Ma, come lui stesso ha spiegato alla rivista Black Scholar, la sua priorità era un’altra:”ero determinato a essere un nero sui cui l’uomo bianco non metteva le mani. Un nero che non si lasciava sottomettere”.

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Gli tocca attendere il 1974 e l’incontro a Kinshasa nello Zaire, contro George Foreman per rientrare in possesso del titolo mondiale dei massimi. Dalla forzata inattività torna un Alì diverso. Meno veloce, costretto ad apprendere un nuovo modo di stare sul ring. Prima gridava sempre:”non possono toccarmi”, ora deve incassare i colpi degli avversari. La scelta è senza alternative ma rischiosa per la sua salute, nel 1977, dopo l’incontro con Shavers, il dottor Pacheco lascia il campione visto che i suoi allarmanti referti non vengono presi in considerazione da Alì e dal suo entourage. Oggi c’è chi fa risalire il Parkinson, c620x441he lo colpirà anni dopo, a quella decisione di andare avanti. Il più grande pugile della storia non vuole scendere dal quadrato: sente di incarnare aspirazioni, tensioni, lotte sociali. E poi come tutti i boxeur non accetta che sia finita, non si vuole arrendere. La sua carriera ha sempre fatto corsa parallela con la storia statunitense. Nel febbraio del 1964, a vederlo trionfare contro Sonny Liston, in prima fila c’è Malcom X: è il viatico perfetto perch il ragazzino ventiduenne di Lousville (Kentucky), che il giorno seguente annuncia di essere un membro della Nation of Islam, faccia il suo ingresso sulla ribalta politica, prima nazionale e poi internazionale. Lo interrogano su tutto e lui risponde su tutto, si telefona con Bertrand Russell per parlare di pacifismo, rilascia dichiarazioni taglienti:”perché i cosidetti negri di Louisville vengono trattati da sempre come cani?” Per l’FBI, che l’ha schedato e messo sotto sorveglianza, è un sovversivo. Viene attaccato dai giornali, ma le sue apparizioni ai talk-show sono seguitissime. E’ irridente, provoca:” io non ho mai avuto niente da ridire con quei vietcong141”. Negli anni Sessanta si impone, mentre nel decennio successivo è la sua visione del mondo a passare. Il perché ce lo racconta Norman Mailer:”provi sempre una forte impressione quando lo vedi (…). Le donne emettono un udibile sospiro. Gli uomini abbassano lo sguardo. Si rammentano di nuovo del loro scarso valore. Anche se Alì non avesse mai aperto bocca per fare tremare le gelatine dell’opinione pubblica, ispirerebbe sempre amore e odio. Poiché Alì è il Principe del Cielo: così dice il silenzio che circonda il suo corpo quando egli è luminoso”.

 

Qui sotto trovate il leggendario round n.8 di Rumble in the Jungle: Alì vs Foreman