Andrew Dominik: se Nick Cave ha il cuore spezzato ne fa della musica

È stato presentato Fuori Concorso One More Time With Feeling di Andrew Dominik che propone le esibizioni live di Nick Cave and the Bad Seeds accanto alle interviste e ai pensieri del cantautore australiano e che diventa l’occasione per una riflessione sulla perdita e sul dolore. Il documentario, realizzato in 3D, racconta, infatti, la storia della composizione del nuovo album, intitolato Skeleton Tree, realizzato in seguito alla tragica scomparsa di Arthur, figlio quindicenne di Cave, nel luglio 2015. Sarà nelle nostre sale il 27 e 28 settembre (mentre l’album esce il 9 settembre).

2007

La collaborazione con Nick Cave

Il film è cominciato probabilmente quando Nick si è presentato in un’agenzia di stampa, a Brighton, perché doveva promuovere il nuovo album. Arthur è morto a metà della produzione e l’idea di promuovere l’album lo nauseava. Si sarebbe trovato a dover discutere con un sacco di giornalisti del contenuto di quest’album ed era una prospettiva che lo terrorizzava. Quindi, nel fare il film ha prevalso il suo istinto di autoconservazione, era il modo di parlare di ciò che è successo, ma con una certa sicurezza nel farlo insieme a qualcuno che conosceva.

 

L’improvvisazione

Quando me lo ha chiesto, non ho avuto tempo di pensarci. Stavo salendo su un aereo per andare in Europa e, quando sono arrivato a Parigi, Warren Ellis mi ha fatto sentire il disco e Nick mi ha parlato al telefono. Il giorno dopo, a pranzo, mi ha ufficialmente chiesto di fare un film. Non avevamo nessun’idea di cosa dovesse essere, lui voleva semplicemente suonare le sue canzoni. Era un po’ come il film di un miniconcerto dell’album che doveva essere proiettato nelle sale, in tutto 35 minuti di canzoni, quindi dovevamo inventarci altre cose. Il film è stato improvvisato, abbiamo cominciato a girare senza avere un’idea di quello che stavamo facendo e si è evoluto un po’ così.

 

Non è una terapia

Non so se la musica aiuti la trasformazione, semplicemente è quello che fa Nick. Nelle sue canzoni tratta tutto quello che gli succede: se ha il cuore spezzato ne fa della musica, qualsiasi cosa succeda nella sua vita viene trasformato. E questo meccanismo funziona per tanti di noi, ci permette di dare un certo significato a ciò che ci capita: crei una storia e poi i sentimenti vengono un po’ messi da parte, ed è più facile trattarli quando vengono guardati da una certa distanza. Ma, secondo me, né il film, né le canzoni lo aiutano con il suo senso di lutto, di dolore, forse lo fanno a tratti, ma è qualcosa che non riesce ad abbracciare, a capire. Non è riuscito a rimpicciolire questa emozione, semplicemente continua a fare quel che fa, anche se non vorrebbe che fosse così. Lui deve andare avanti e penso che il film sia un modo di mettere un piede davanti all’altro, di continuare ad andare avanti, ma non è stato terapeutico.

124

L’uso del 3D

Mi è sempre piaciuto il 3D. A ciò si aggiunge il fatto che la musica è una qualità spaziale, c’è un sacco di spazio nei suoni e ho pensato che, per dare al film una certa dimensione, il 3D sarebbe stato complementare all’atmosfera delle canzoni. È una tecnica che ti avvolge, è un’esperienza vera e propria, mentre il bianco e nero ha un’eleganza formale indiscutibile. Quindi, ho fatto un film che, da un lato, distanzia e, dall’altro, avviluppa, e questo avviene nello stesso istante.

 

Un 3D intimista

Il 3D ti dà l’impressione di guardare dentro il volto di qualcuno, cogli la profondità del volto in uno spazio confinato, per certi versi ti dà anche un senso di claustrofobia. È divertentissimo utilizzarlo, io ne sono ossessionato da molto tempo, ma evidentemente l’approccio deve essere diverso rispetto a un film normale. Il problema è che, nella maggior parte dei casi, si fa un film in 2D, a cui viene applicato il processo 3D facendo dei tagli ogni tot secondi. Sapevo che questo è impossibile per il cervello, quindi, dovevo rimanere fermo. Quando guardo un film in 3D non voglio che il mio cervello debba lavorare per elaborare una storia, questo appartiene al film in 2D, quindi era perfetto che non fosse narrativo. E poi c’è qualcosa di affascinante nel guardare qualcuno che si sposta e farlo in 3D ti trasmette quella sensazione fantastica di quando c’era lo sfarfallio della pellicola.

 

«Un monumento malconcio»

Vengo da Melbourne in Australia e lì, quando ero adolescente, Nick Cave era come Gesù, la gente era ossessionata da lui, lo amava, lo odiava, le ragazze andavano pazze per lui… C’era davvero una specie di follia collettiva intorno a questo personaggio. Mi piace davvero Nick, mi piace il suo lavoro, secondo me è un artista magistrale e mi parla, ha qualcosa da dirmi, e riesce a dirmi delle cose che hanno un significato anche più grande di me. Nick è insieme un dio, un personaggio, un performer, ma è anche una persona impaurita davanti a un microfono. Ambedue questi lati sono veri e penso che questa scissione nel suo lavoro si veda. Per questo se fai un film su di lui, devi mostrare entrambi gli aspetti.

 

Il final cut

Nick è una persona molto introversa, può essere difficile, è anche permaloso, a tratti. Avevamo fatto un patto per cui avrei escluso dal film tutte le cose che non gli sarebbero andate a genio, a quel punto mi avrebbe lasciato girare tutto. Quando ha visto il film, aveva sentimenti variegati al riguardo: si chiedeva dove fosse il confine tra il ritratto legittimo di una persona che vive un’esperienza e quale fosse il punto in cui il lutto e il dolore diventano eccessivi, oppure come andasse trattata la tragedia… Erano aspetti che lo preoccupavano costantemente, così come preoccupavano me e ancor di più Susie (Bick, la moglie di Cave, ndr). Quando ha visto il film c’erano cose che gli piacevano e altre che non gli piacevano. Tutti gli elementi e le scene in cui lui, o Susie, non si trovavano a loro agio sono state eliminate.

 

La lezione

Ho fatto questo film per imparare qualcosa e ciò che ho imparato è di affidarmi di più ai miei istinti. Ho girato in maniera del tutto istintiva, cominciavo senza sapere dove dovessi andare e le idee si raccoglievano a mano a mano che si procedeva. È un film imperniato sulla perdita del figlio, anche se ci sono altre cose che succedono e questi incidenti di percorso tendono a intrecciarsi. È molto meglio fare un film quando rimane materia viva e riesce a parlare per sé. Quando si fa un documentario bisogna stare attenti e ascoltare quello che il film vuole diventare ed essere. Mi è piaciuto molto poter utilizzare tutto, cosa che non avviene con i film di finzione. Quando si fa un film di finzione si utilizzano solo i momenti tra il “ciak” e il “cut”, tutto quello che avviene prima e dopo va buttato. Ecco, vorrei incorporare questi spezzoni che si buttano in un film di fiction, intrecciarli maggiormente perché sono sempre più interessanti e affascinanti le cose a cui non pensi e che non fai deliberatamente. E spesso finisce che sono anche quelle più importanti.