Frederick Wiseman: la New York Public Library è uno specchio della vita della città

Il nuovo lavoro di Frederick Wiseman, in uscita il 23 aprile (e in concorso all’ultima mostra di Venezia), è dedicato alla Biblioteca Pubblica di New York, la seconda istituzione bibliotecaria americana (è preceduta dalla Biblioteca del Congresso). Con le sue novantadue succursali, disseminate tra Manhattan, il Bronx e Staten Island e aperte a tutti, esemplifica nella realtà il concetto di democrazia e «rappresenta tutto ciò a cui Donald Trump è contrario», come ha spiegato il regista in conferenza stampa al Lido.

 

The New York Public Library

Ho scelto questa biblioteca perché è una delle più importanti del mondo. Non sapevo molto delle sue attività prima di girare, ma sapevo di voler fare un film su una biblioteca. Sulla 42° strada c’è la sede che si vede nelle immagini, ma poi ci sono 92 succursali nei vari quartieri. Le attività sono sempre pianificate dall’ufficio centrale, ma c’è una grande varietà di attività in ognuna di esse. Poco a poco le biblioteche sono diventate centri municipali e di formazione per gli adulti, non sono più solo un archivio o un deposito di libri che si possono prendere in prestito.

Uno specchio sociale

La biblioteca è uno specchio di molti aspetti della vita di New York. Penso che ogni film, per funzionare bene, deve lavorare su due livelli: uno letterale e uno astratto. In questo caso, a livello funzionale/letterale vediamo la gente che utilizza la biblioteca, mentre a livello astratto ci sono le implicazioni che hanno i servizi offerti dalla biblioteca e in questo senso si entra nella vita americana.

 

Un antidoto a Trump

Non ho iniziato il film con questa idea, ma quando ho finito il montaggio, due o tre giorni dopo l’elezione del nuovo presidente, mi sono detto che mentre la biblioteca si preoccupa delle persone, l’approccio di Trump è crudele, narcisistico, indifferente, non gli importa niente dei sentimenti che possono avere gli altri. Invece la biblioteca aiuta le persone: non solo i ricercatori che utilizzano l’archivio, ma con i programmi nelle succursali aiuta gli immigrati, i poveri a migliorare la loro vita dando loro una motivazione. C’è un interesse genuino che viene rappresentato nei tipi di corso proposti: l’insegnamento dell’inglese agli immigrati cinesi, corsi di computer, di storia, di scienze politiche, doposcuola per aiutare i ragazzi… Trump rappresenta invece una visione darwiniana (non che Trump sappia chi sia Darwin), per questo la biblioteca è l’antidoto a tutto ciò che lui rappresenta.

 

 

L’approccio da romanziere

Ho imparato all’universita a leggere molto, e lo faccio costantemente, quindi non so esattamente cosa mi abbia influenzato. Sicuramente il mio approccio al film è più da romanziere che da giornalista. Amo il libro come oggetto fisico, compro libri adesso che sono più vecchio anziché andare in biblioteca e mi piace sempre tenere in mano un libro piuttosto che leggerlo su un dispositivo digitale.

 

 

Il cliché del digitale

La biblioteca sta procedendo alla digitalizzazione della sua collezione, ma questo non la distruggerà perché ci sono tutti i servizi che offre ed è un centro sociale, oltre che essere importante come archivio perché mantiene le copie originali di molti libri. Non sono un esperto di archiviazione, ma questo cliché che le biblioteche sono finite con l’avvento del digitale effettivamente non è vero. Il pensiero complesso sarà così disponibile, ma questo non farà sparire le biblioteche perché molte persone amano incontrarsi lì, visionare il materiale originale, oltre a tutta una serie di servizi offerti. Per questo continueranno a esistere.

 

La navigazione del cineasta

Stando 12 settimane alla New York Public Library ho imparato delle cose sulla biblioteca, che spiego nel film, e che prima non conoscevo. Fa parte della navigazione in quanto cineasta, il film presenta quello che ho appreso. Ho avuto l’opportunita di passarci del tempo e di avere accesso alle varie attività in corso e, quindi, ho cercato di mostrare tutta questa mia esperienza nel film.

 

Il montaggio per parlare con se stessi

Ci sono volute 12 settimane di riprese, un anno per il montaggio. La tecnica è stare sette giorni alla settimana in sala di montaggio e ricevere il cibo per endovena fino a che non abbia finito il film. Quando ho finito di girare, guardo tutti i giornalieri, questo mi richiede sei settimane, prendo appunti e seleziono così il 40-50 % del materiale. Inizio quindi a concentrarmi sulle riprese che potrebbero entrare nel montaggio finale e questo richiede dai sei agli otto mesi per vedere le sequenze e dare loro una forma. Nel momento in cui ho le sequenze per così dire “candidate”, inizio a lavorare sulla struttura, non riesco a lavorarci in astratto devo vedere e sentire come voglio iniziare e finire il film, e dopo otto mesi riesco a fare il primo assemblaggio perché a quel punto le sequenze sono nella forma quasi finale, posso spostarle. Questo primo assemblaggio rappresenta 30-40 minuti del film finale, poi dopo altre sei settimane lavoro sul ritmo interno di ogni sequenza e sul ritmo esterno che dà una sequenza a tutto e quando ho finito rivedo ancora una volta tutti i giornalieri per assicurarmi di non aver dimenticato qualcosa (di solito succede e riprendo ciò chimi è sfuggito). Finito il montaggio segue la depressione post partum e comincio subito a pensare di fare un altro film. Penso che la base del montaggio sia parlare con se stessi: per poter fare la selezione, devo poter identificare a me stesso cosa succede in ogni sequenza, devo aver la sensazione di capire cosa succede per sapere prima di tutto se voglio utilizzare questa sequenza e, se così è, come posso ridurla in una forma utilizzabile; in terzo luogo, una volta che la sequenza prende forma, devo capire dove la voglio mettere nel film e nella struttura finale. Questo in breve è il mio metodo.

 

Il titolo

In parte è stato uno scherzo basato sul fatto che mio padre incollava sempre un piccolo ex libris nei libri che acquistava, per questo ho usato questo termine. Volevo in effetti suggerire nel titolo di toccare ogni aspetto di quel luogo, in modo anche molto selettivo, invece di dire solo “From the Library” (“dalla biblioteca”).

 

Progetti futuri

Ci sono alcune istituzioni in cui non sono riuscito ad andare, ho un vero e proprio elenco di soggetti possibili, ma di solito non ne parlo mai prima che non siano finiti e fatti, su questo sono un po’ paranoico.