Gianni Vastarella (Punta Corsara): Io, mia moglie e il miracolo, una questione di fede

Vincitore della quarta edizione de “I teatri del sacro”, lo spettacolo di Punta Corsara scritto e diretto da Gianni Vastarella (anche in scena accanto a Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Gabriele Guerra, Valeria Pollice, Emanuele Valenti) ruota attorno al caso della scomparsa di una bambina che, a detta dei genitori, partecipa in realtà a una sperimentazione didattica che la costringe a scuola, in un tempo prolungato infinito. La comparsa in città di un guaritore che fa i miracoli ed è in grado di riportare in vita oggetti e persone non fa che esacerbare gli animi e creare ulteriore scompiglio… Uno spettacolo che segna un punto di svolta nel percorso della compagnia di Scampia: intanto per l’ambientazione («un non luogo che potrebbe essere qualsiasi luogo»), ma anche per la scelta di non utilizzare il dialetto napoletano e per il genere: un noir con venature surreali e un umorismo acido che non lascia speranze. Ne abbiamo parlato con Gianni Vastarella.

La scelta di non dare un nome ai personaggi fa il paio con il non luogo in cui si svolge la vicenda?

Assolutamente sì. All’interno del nucleo – sia familiare sia della cittadina – con cui ho deciso di fare i conti, ho scelto dei personaggi che vengono identificati non dal nome, ma dal loro ruolo: il Marito, la Moglie, lo Sceriffo, la Puttana e l’Uomo con la stecca, che potrebbe far pensare allo scemo del villaggio, ma non è esattamente così. È un uomo un po’ misterioso che da 40 anni, ovvero da quando se l’è comprata, non riesce a staccarsi da questa stecca del lecca lecca che ha in bocca, la sua è una vera e propria ossessione. All’interno di questo schema, a rompere gli equilibri, c’è l’arrivo di un misterioso guaritore che gira come un vagabondo per varie città a elargire miracoli. È l’unico fuori dagli schemi, non solo per il fatto che fa i miracoli, ma proprio per lo stile di vita, è un personaggio molto diverso dagli altri…

 

In qualche modo sono degli stereotipi grotteschi, un po’ dei mostri… 

La volontà mia era quella di raccontare sì un mondo assolutamente sopra le righe, se vogliamo anche un poco assurdo, ma in realtà è come se fossero dei mostri quotidiani che possiamo incontrare tutti i giorni, sono i mostri che creano gli schemi e gli stereotipi e i ruoli che ci vengono affibbiati giorno dopo giorno… In un modo totalmente surreale, ma che ha a che fare molto con il reale, quindi molto grottesco.

 

Che è un po’ la cifra stilistica di Punta Corsara.

Sì, anche se questo grottesco è gotico più che farsesco o da maschera della Commedia dell’arte. Diciamo che è più in stile Dracula o Frankenstein, più misterioso…

Sei d’accordo che è un’umanità senza speranza?

Più che altro direi senza via di fuga. La speranza nella nostra versione è rappresentata dal guaritore che arriva con questo dono, che non si sa se è vero o no, di riportare in vita oggetti e persone. Il tema dello spettacolo riguarda proprio la questione legata al miracolo: esiste? A cosa serve il miracolo e quindi la fede? Esiste per rafforzare gli schemi? A un certo punto nello spettacolo succede una cosa che impone di fare una scelta per cui ci si chiede se è più importante l’immagine della fede – e quindi Gesù Cristo in croce – o l’immagine della famiglia perfetta. Cosa è meglio salvaguardare? Diciamo che è su queste domande che si gioca lo spettacolo…

 

Fin dal titolo il miracolo è centrale. Da napoletano, c’è anche una satira rispetto a un certo modo di pensare?

Noi siamo molto legati ai miracoli, ci sono molti credenti, con questo testo volevo più che altro prendere le distanze dai detti popolari perché non metto in dubbio la possibilità del miracolo, c’è chi ci crede e chi no, nello spettacolo come nella realtà, però il vero senso è se il miracolo ci conviene oppure no, se serve o se ne poteva fare a meno. Una volta avvenuto, è giusto che sia avvenuto o, magari, era meglio non fosse avvenuto? A un certo punto lo Sceriffo, che rappresenta la legge, dice: «Chi decide chi merita o no un miracolo?». La legge di fronte alla fede, di fronte a un fatto soprannaturale, si pone delle questioni più pratiche, si chiede chi se lo merita e se avviene per caso.

 

Lo spettacolo apre tutta una serie di questioni etiche sul “dopo miracolo”…

Sì, in realtà noi vediamo il prima, ma è rivolto al dopo. Nello spettacolo tutto è al servizio delle parole, per esempio ho chiesto agli attori di recitare sul davanti della scena, ci sono pochi movimenti, i dialoghi sono serrati, è tutto molto asettico per dare maggior forza a ciò che viene detto, si crea una sorta di ridondanza, con parole che vengono ripetiute in maniera quasi ossessiva dai personaggi così da provocare una sorta di gioco con l’inconscio che porta a delle risate un po’ angosciate da parte del pubblico…

A chi ti sei ispirato?

Durante la scrittura del testo era un periodo che leggevo molto Kafka e Dostoevskij, ma devo dire che per questo spettacolo i miei riferimenti sono stati soprattutto cinematografici. Visivamente – poi a livello di contenuti non so se ci arrivo – direi David Lynch, la comicità dei fratelli Coen, Kaurismäki, c’è un po’ anche la violenza di Lars von Trier.

 

Non a caso Io, mia moglie e il miracolo è stato definito «un noir», «un thriller comico». Da questo punto di vista è una novità nel percorso di Punta Corsara…

Mi fa molto piacere che sia stato riconosciuto perché nelle intenzioni volevo proprio fare questo. Tra le definizioni che mi sono piaciute di più c’è quella data da Francesca Saturnino che ha parlato di «una favola pulp». Mi piace perché ricorda un certo tipo di cinema americano ed è al limite anche un po’ con il fumetto. Effettivamente è uno spettacolo molto diverso, anche se si mantiene su una linea simile: il ritmo, l’ironia, il senso profondo del nostro percorso rimane invariato, ma cambia lo stile. Non c’è la scena, non c’è nulla a cui aggrapparsi, gli attori finiscono per essere uno specchio per il pubblico: sarà anche tutto assurdo, ma specchiatevi perché come siamo coinvolti noi che lo portiamo in scena, lo siete anche voi spettatori.

 

È il primo spettacolo che hai scritto e diretto (a 28 anni). Altri progetti nel cassetto?

Con Emanuele Valente avevo già scritto Hamlet Travestie, uno dei nostri spettacoli di repertorio, mentre a inizio carriera partecipai al premio Scenario arrivando in finale con un testo che non ho ancora mai portato veramente in scena, ma prima o poi lo farò. Sento che ha bisogno di un po’ di maturazione mia personale in più, perché essendo un testo su mia madre rischia di essere un fatto soprattutto biografico, quindi per superare questo limite è meglio se prima faccio un mio percorso. Anche Io, mia moglie e il miracolo contiene citazioni molto personali ma che nessuno può vedere: in mezzo a tutto l’assurdo, alle cose surreali, c’è tanto di me, ma per fortuna è ben nascosto. La cosa importante è che si vada oltre il personale, sennò lo spettacolo te lo puoi fare pure a casa tua…

 

 

Milano                        Sala Fontana              22-25 febbraio

Bologna                      personale Punta Corsara

La Soffitta, Laboratorio delle Arti / Teatro    9 aprile     Hamlet Travestie

La Soffitta, Laboratorio delle Arti / Teatro    10 aprile   Io, mia moglie e il miracolo

Arena del Sole                                                   11 aprile     Il cielo in una stanza