H3+ di Paolo Benvegnù – Il poeta delle stelle che non smarrisce la memoria

Un viaggio musicale nello spazio interstellare, per parlare dell’uomo, indagare i sentimenti e cercare risposte ad alcune domande. Una storia racchiusa dentro H3+ , un disco affascinante e misterioso (uscito a marzo per l’etichetta Woodworm Label), che deriva il titolo dallo ione molecolare più comune nello spazio tra gli astri, responsabile di reazioni chimiche che sono alla base dell’acqua e quindi della vita. Ne è autore il 51enne Paolo Benvegnù – milanese di nascita, cresciuto sul Garda, ora perugino dopo un lungo periodo vissuto a Firenze – il quale continua ad attraversare la musica d’autore italiana (prima con gli Scisma, una band che è tra le pietre miliari dell’indie rock nazionale, ora come solista), scegliendo percorsi sottotraccia illuminati da opere singolari e lontane dalle mode, con retrogusto potente e profondo. Ha pubblicato cinque album, a partire dal 2004, quando – spogliatosi della veste collettiva – lasciò il segno con le delicate liriche di Piccoli fragilissimi film (che contiene la splendida Il mare verticale), si confermò con Le labbra (2008), e diede poi il via ad una trilogia che, apertasi con Hermann (2011) e proseguita nel 2014 con Earth Hotel, si è conclusa quest’anno, sempre sotto il segno dell’H, proprio con H3+.Abbiamo intervistato Paolo Benvegnù durante una pausa del tour promozionale del disco, con il quale sta girando la penisola accompagnato dal fidato gruppo che lo coadiuva da tempo, composto da Andrea Franchi alla chitarra, Luca Baldini al basso, Marco Lazzeri a piano e tastiere, Ciro Fiorucci a batteria e programmazione e dal fonico Michele Pazzaglia, che nel lavoro in studio ha curato arrangiamenti e mixaggio.

 

 

Paolo, H3+ chiude un percorso iniziato con Hermann e proseguito con Earth Hotel. Nonostante qui ci muoviamo addirittura nello spazio interstellare, al centro c’è sempre l’animo umano…

Qualcuno ha parlato di Trilogia H, ma la definizione suona buffa e vuota, perché non ha alcun riferimento di sostanza. Preferisco altre immagini che invece una sostanza ce l’hanno, come quella di un viaggio dentro la materia di cui siamo fatti (per dirla alla Shakespeare) che abbraccia passato, presente e futuro.

 

La domanda alla base del disco è, più o meno questa: quali sarebbero i pensieri di un uomo (il protagonista dell’album stesso, Victor Neuer, che nel cognome porta impresso il germe del rinnovamento) che si sciogliesse nella materia interstellare conservando tuttavia la propria memoria. Hai anche la soluzione all’enigma?

C’e un abbozzo di risposta che ritengo confortante: l’uomo percepisce che si sta tramandando, ovvero che lascia memoria di sè attraverso le informazioni che le sue cellule contengono e che passano ad altre cellule. È una cosa bella e misteriosa, piccolissima nel suo farsi e allo stesso tempo grandissima nella sua portata.

Il viaggio di Victor lo porta dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo. C’è un legame tra i due estremi?

La risposta è nella specularità. Non so perché, ma sono sicuro, come dico nel disco (in No Drinks No Food, ndr) che “ogni cosa ha il suo respiro e ci respira accanto”, che probabilmente è il centro del mio pensiero attuale.

 

Alla fine del viaggio, dopo aver affrontato il senso di perdita e di abbandono, ma anche acquisito nuove consapevolezze, come ti senti?

Mi sento davvero un po’ più in linea con l’altro e con la natura. Quell’ansia di inseguimento, un po’ alla Orlando Furioso, che mi accompagnava in precedenza, si è placata.

 

Quindi possiamo considerare definitivamente archiviata la filosofia espressa nel 2004, nella canzone Il mare verticale: “io lascio che le cose passino e mi sfiorino”?

Il viaggio mi ha arricchito e vedo le cose in maniera differente, Non ho certo la presunzione di cambiare il mondo e nemmeno provo un senso di dominio sulle cose stesse, ma il mio rapporto con esse è mutato.

 

Come sempre nei tuoi dischi, abbondano i riferimenti cinematografici e letterari. Ci sono, evidenti, Interstellar di Christopher Nolan e il classicissimo Blade Runner, se non altro per la presenza della pioggia che a un certo punto cade su Victor…

È così, come c’è, più in generale, Philiph K. Dick. Ma, soprattutto, Isaac Asimov, che rappresenta ben più di una suggestione. Senza dimenticare Lucy, il film di Luc Besson: da lui mi aspettavo al massimo inseguimenti e azioni roboanti, invece mi ha sorpreso con intuizioni magari disordinate, ma stupefacenti e profonde.

 

Da chi è popolato il tuo immaginario cinematografico?

Nel mio personale pantheon c’è spazio per parecchi autori. Ma la folgorazione costante riguarda Wener Herzog. Di lui apprezzo tutto: mi piace anche la persona. In particolare mi affascina quella continuità così evidente tra opera e essere: ciò che fa mi sembra la prosecuzione, o forse semplicemente l’espressione piena, di ciò che è. Ma amo moltissimo anche un autore oggi quasi dimenticato come Elio Petri: credo che sia nella storia del nostro cinema, nonostante tutto. E soffro per il fatto che il suo attore feticcio, Gianmaria Volontè, uno dei più grandi se non il più grande tra gli interpreti italiani, abbia egli pure subito quasi un processi di rimozione. Ma forse la penso in questo modo solo per il fatto che a me piacciono più gli outsider, i perdenti, che non quelli che arrivano primi.

 

 

Alla carriera di cantautore e musicista, affianchi quella di produttore discografico. Come selezioni gli artisti da produrre?

Diciamo che mi devono colpire per qualche caratteristica fuori standard, in genere per l’aspetto atipico dei testi o per una particolare combinazione della triade melodia-armonia-voce. Molto spesso si tratta di band che mi capita di ascoltare in apertura ai miei live, o che sento per caso. Nella proposta sono chiaro: di sicuro non sono adatto a chi cerca produzioni leggere, ma all’atto pratico lascio anche molta libertà.

 

Milano, Brescia, Firenze, ora Perugia: cambi spesso residenza. Ti piace girare…

Mi considero un apolide, anche se il lago di Garda (sponda bresciana occidentale, dalle parti di Gargnano, ndr) rimane sempre il mio rifugio, il posto dove riposare e ricaricarmi. Il vantaggio di cambiare così spesso casa è che nelle rassegne musicali regionali mi invitano sempre…

Ogni tanto, un po’ a sorpresa, gli Scisma tornano a suonare insieme per poi congedarsi di nuovo. È un capitolo aperto?

Siamo come una cellula dormiente. Ogni tanto, quando nessuno se lo aspetta e senza accordi particolari, ci risvegliamo e facciamo qualcosa insieme. Succederà di nuovo, quando avremo qualcosa di interessante da dire.

 

Le fotografie del servizio sono di Gabriele Spadini