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Mattia Signorini: La mia unica guida è la storia che voglio scrivere

Mattia Signorini è, sulla scena della letteratura italiana, una figura impegnata su diversi fronti nella scrittura. Animatore del festival Rovigoracconta, fondatore e direttore della scuola Palomar, un vivaio di talenti che ogni anno sforna scrittori di successo, e autore di diversi romanzi fra cui Le fragili attese e il recente Stelle minori (Feltrinelli, pag.224, euro 16,50). Facciamo due chiacchiere con uno scrittore che ai libri ha dedicato una vita. La fotografia di Mattia Signorini è di Andrea Verzola.

 

 

 Iniziamo dal tuo ultimo lavoro, Stelle minori, il cui titolo sintetizza con grande efficacia il tema del romanzo. Vorresti approfondire?

Nei sistemi multipli di stelle, la stella primaria emette molta più luce di tutte le altre, che rimangono in ombra, nascoste agli occhi di chi osserva quello spazio di cielo. Così è ognuno di noi, che si sente da una vita, o si è sentito almeno una volta, una stella minore, un numero due.

 

Stelle minori è un’incursione nel noir, per quanto sui generis e abbastanza lontana dalla scena canonica. Nel dibattito sulla dignità letteraria dei generi, come ti collochi?

Faccio fatica a distinguere la letteratura per generi. Quando inizio a scrivere un romanzo, mi trovo in un mondo personale, profondamente intimo e lontano dai meccanismi editoriali. In quel mondo la mia unica guida è la storia che voglio scrivere.

 

Esiste un filo rosso che attraversa i tuoi romanzi? Una visione del mondo, una ricerca stilistica, una storia che in qualche modo si svela nelle sue singole manifestazioni romanzo dopo romanzo?

Credo riguardi il fare i conti con il passato. I romanzi che ho scritto parlano, in modi tra loro molto diversi, di ciò che ci siamo lasciati indietro nella strada di vita che abbiamo percorso. Alle conseguenze, a volte feroci, delle nostre rinunce e delle nostre scelte.

 

 In qualità di animatore culturale, da anni dirigi un festival, Rovigoracconta, che ti ha portato in contatto con diversi grandi nomi della letteratura italiana. Come vedi la scena nel presente, e come secondo te si è evoluta negli ultimi anni?

Conosco molti scrittori da prima che diventassero ospiti del Festival. Il paradosso è che il Festival è una giostra veloce, piena di colori, e chi lo organizza purtroppo ha poco tempo per viverlo a pieno. Deve controllare che tutto vada per il verso giusto. Con gli scrittori che conosco c’è un bel rapporto, soprattutto al di fuori delle occasioni istituzionali. Parliamo, ci confrontiamo sulla scrittura. A tratti cerchiamo di decifrare insieme il grande mare delle parole e delle storie. Sono rapporti intimi, incroci di percorsi personali. Rispetto al passato non c’è, per quanto riguarda la mia esperienza, un gruppo unitario di pensiero, e forse questo è un bene.

 

Con la scuola Palomar lavori a contatto con aspiranti scrittori che provano a farsi strada. Qual è la lezione più importante che dai loro? Cosa ti senti di dire a chi inizia a scrivere oggi e sceglie di crederci?

Che la bellezza dello scrivere sta tutta nel dare vita a un mondo che prima non c’era, e che il desiderio di pubblicare deve essere tenuto a bada, deve sempre essere un passo indietro alla passione per la scrittura, a prescindere dai risultati.

 

Nell’equilibrio tra le esigenze di un mercato con i suoi standard commerciali e la volontà di una ricerca e di un’azione culturale e di un’azione politica che si svincolino dal mercato stesso, quanto è possibile far convivere queste due istanze? Esiste un senso della letteratura che non sia fare grandi numeri?

È impossibile studiare a tavolino un romanzo che venderà. Se ci fosse una formula magica, gli editori pubblicherebbero quasi solo romanzi che vendono. L’idea del successo a tutti i costi, soprattutto da parte degli scrittori, è un vitello d’oro che distrugge la creatività. Quando gli editori si innamorano di un romanzo, e decidono di pubblicarlo, non è perché sono convinti che diventerà un bestseller. Lo sperano, forse, ma sanno che i libri hanno percorsi imprevedibili, e l’unica certezza è essere convinti di quello che si ha tra le mani, a prescindere dal suo esito in libreria. Non si è mai pubblicato tanto quanto in questi anni, nonostante la contrazione delle vendite dei libri. Come in ogni periodo di incertezza ci sono molte possibilità, anche e soprattutto per gli esordienti.