Rade Šerbedžija: forse il teatro è la dimensione per me più congeniale

«Può parlare un po’ più forte? Scusi, ma quando ero un giovane teatrante un collega sparò alle mie spalle, per scherzo, un colpo con la pistola di scena, a pochi centimetri dal mio orecchio sinistro… Mi sono ritrovato mezzo sordo e con l’età questa cosa è peggiorata…». Incontriamo l’attore croato Rade Šerbedžija a Trieste, dove è tra gli ospiti internazionali più attesi del Festival e dove riceve il premio Eastern Star Award 2018. Grande volto da cinema, solo in parte segnato dalla vita e dal tempo, lo sguardo ancora luminoso di un ragazzo. Rade – settantun anni e 189 titoli tra cinema e tv – ha incarnato personaggi spesso memorabili in film che hanno segnato la storia del cinema, da Prima della pioggia – «un film di svolta per me, sia in senso professionale che umano» – ad Eyes Wide Shut, da Space Cowboys a Batman Begins. Ha alternato film pop come Mission: Impossible II e Harry Potter e i doni della morte a opere indipendenti e d’autore come gli italiani La tregua di Rosi – «uno dei vostri maestri» – e Io sono Li di Andrea Segre. Di quest’ultimo film ricorda l’accoglienza entusiastica da parte di pubblico e critica a Venezia, nel 2011: «peccato non fosse in concorso!». È attore di cinema, teatro, serie tv, ma anche poeta, scrittore, musicista. «Forse il teatro è la dimensione più congeniale a me, perchè è quella con cui ho cominciato, la mia formazione è nata in teatro…». Comincia a ripercorrere per noi la sua lunga carriera, quasi come un cantastorie. «Da giovane attore di teatro ero stupido o molto arrogante, pensavo che, non avendo vissuto la Seconda Guerra, la nostra generazione non avrebbe mai potuto recitare davvero le più profonde emozioni umane, ma solo simularle. In parte, purtroppo, avevo ragione. Sono convinto che dopo la terribile guerra nei Balcani e il tanto sangue versato, molti di noi abbiano smesso di “fingere” in scena. Siamo diventati testimoni di un tempo tragico. Oggi sarebbe bello potere davvero iniziare un processo di pace tra i paesi dell’ex Jugoslavia, magari attraverso il cinema. Dovremmo realizzare un festival Balcan Mediterraneo, coinvolgendo anche i vicini italiani!».

 

 

C’è una lezione di recitazione che imparò allora, da giovane attore di teatro, che è ancora particolarmente preziosa per lei?

Ho capito presto che non si finisce mai d’imparare. Avevo da poco portato in scena Amleto in una produzione importante e dicevano non fossi stato un “cattivo Amleto”. Un giorno il mio professore di recitazione all’Accademia d’Arte Drammatica di Zagabria mi sorprese, dicendomi: «Rade, dovresti tenere alcune lezioni nel mio corso di teatro!». «Io? Ma non so assolutamente nulla, non ho abbastanza esperienza, ho fatto Amleto…». Rispose: «Proprio per questo, più che venire a insegnare, imparerai dagli studenti!». Sembrava un paradosso, ma aveva ragione, s’impara sempre. Come disse Socrate: «il vero saggio è colui che sa di non sapere». Quello che non sai ancora lo puoi sempre imparare dagli altri.

 

Tra i grandi maestri con cui ha lavorato c’è Stanley Kubrick. Che ricordo ha del set Eyes Wide Shut?

Rimasi sul set per tre mesi, anche se non avevo un ruolo da protagonista. Ricordo che Kubrick voleva che doppiassi con la mia voce il mio personaggio sia in francese che nella versione italiana. Gli dissi che per l’italiano non era un problema, ma non sapevo una sola parola di francese. Lui non sentiva ragioni, voleva la mia voce anche nella versione “francese”. Non cambiava idea facilmente. Finite le riprese una notte mi chiamò Tom Cruise, da New York, mentre io ero a Londra e mi svegliò alle 4 del mattino! Era entusiasta perché aveva appena visto il primo montaggio del film e mi disse che era bellissimo. Kubrick gelò tutti, dicendo: «Siamo solo all’inizio, forse dobbiamo rimontarlo!». Una settimana dopo morì. La versione definitiva non sarebbe stata quella distribuita nelle sale, ma è uscita con il first cut di Stanley! Giusto così, nessuno avrebbe potuto metterci mano.

 

Sta lavorando a qualche progetto?

Sì, sto per girare una serie tv americana, a Los Angeles, ma non posso dirle altro per scaramanzia. A Hollywood, a volte, succedono cose strane. Una volta ero stato coinvolto in una grossa produzione che avrebbe dovuto intitolarsi Age of Aquarius, diretta da Phil Alden Robinson (regista dell’Uomo dei sogni, nda) e interpretata da Harrison Ford e Kristin Scott Thomas. Erano già stati spesi circa dieci milioni in preproduzione. Ford vide una scena con un’esplosione e disse al regista che avrebbe voluto assolutamente essere anche lui in quella scena. Robinson gli spiegò che non era possibile, perché l’esplosione avveniva a Sarajevo, mentre in quel momento il suo personaggio si trovava in Marocco… Ford s’impuntò, il regista non cambiò idea e il divo abbandonò la produzione sbattendo la porta. Si cercarono sostituti, ma non furono trovati. C’è una regola aurea a Hollywood: “se qualcosa va storto, si butta via tutto”! Non importa quanti milioni sono già stati spesi. Ecco perchè non le dico nemmeno il genere della serie che “dovrei” cominciare a girare ai primi di febbraio…

 

Trieste la premia. Cosa significa per lei questa città?

Mi è molto cara, qui mi sono sempre sentito a casa. Ci vengo da moltissimo tempo. Pensi che prima che cadesse il Muro di Berlino venivo a comprare i blue jeans! E poi ho tanti bei ricordi di questo Festival e della sua creatrice Anna Maria Percavassi, una persona speciale e una vera amica. Triste che non ci sia più, ha aiutato molti giovani, non solo filmmaker, in Jugoslavia, in anni davvero difficili per noi.

 

Negli USA di oggi si sente a “casa”?

Ho abitato per lungo tempo a Los Angeles che ha un clima magnifico, si può giocare a tennis all’aperto tutto l’anno. Per inciso, gioco ancora a tennis, nonostante i miei acciacchi alla schiena. A L.A. avevo anche un buon macellaio di fiducia e con mia moglie, regista teatrale, facevo delle feste cucinando ottime costine d’agnello al barbecue. Venivano tanti amici e divi di Hollywood. Charlize Theron, per esempio, poteva mangiare anche due chili delle mie costine, non so come facesse a restare lo stesso così magra e bellissima. Anche Annette Bening era tra i nostri ospiti, ha lavorato in teatro per mia moglie. Gli USA sono un paese contraddittorio, ci sono tante belle persone, ma ora sono governati da un tipo strambo.

 

Quest’anno il Trieste Film Festival celebra i 50 anni dal ’68. Lei come visse quegli anni?

Non presi parte alle manifestazioni studentesche e non ero a protestare con i giovani di allora, perché impegnato su un set in Slovenia, Sedmina di Matjaz Klopcic. Anche se non di persona in strada, ero dalla parte dei manifestanti. Ricordo bene quell’epoca e quello che volevamo. Avevamo vent’anni ed eravamo pieni di illusioni, volevamo un cambiamento vero e profondo. Tito aveva rotto con Stalin, dunque abbiamo avuto la fortuna di vivere in un Paese dove la dittatura era un po’ meno rigida. Volevamo che tante cose cambiassero, pretendevamo più diritti e più libertà! Tito ci aveva traditi, aveva fatto molte promesse mai mantenute. La stagione rivoluzionaria del ’68 è finita e forse solo nell’arte ha cambiato davvero qualcosa. La cosa più irritante e deludente è che molti giovani rivoluzionari di allora sono poi diventati gli esponenti principali del peggior nazionalismo degli anni Novanta!

 

 

Anche oggi i nazionalismi sono crescenti in tanti paesi dell’Europa.

Viviamo in un’epoca estremamente buia, non solo in Europa, in tutto il mondo. Se non è ancora scoppiata la terza guerra mondiale è solo per la minaccia nucleare, che porrebbe fine a ogni cosa. Non è escluso però che questo accada in un prossimo futuro. I tre o quattro leader mondiali potrebbero decidere di giocarsi il destino del mondo in un’ultima mano di poker. Purtroppo abbiamo più di un motivo per avere paura.