Samuele Bersani: il cinema è la mia ispirazione

cover-bersaniPer i suoi primi 25 anni di carriera, Samuele Bersani ha pubblicato un album dal vivo intitolato La fortuna che abbiamo che comprende 
due cd (anche nella versione doppio vinile) e un dvd con i concerti dello scorso anno a Roma e Milano. Tanti gli amici che lo hanno accompagnato sul palco (Caparezza, Carmen Consoli, Luca Carboni, Marco Mengoni, Pacifico, Musica Nuda, Gnu Quartet e l’Orchestra Sinfonica de I Pomeriggi Musicali), oltre ai cameo di Dario Argento, Alessandro Haber, Piera Degli Esposti e Fabio De Luigi. L’album contiene anche un inedito, La fortuna che abbiamo appunto, per il quale Samuele Bersani ha scritto e diretto il videoclip che lo accompagna e che interpreta con Petra Magoni (voce dei Musica Nuda). Il cinema è da sempre una grande passione dell’artista romagnolo, come dimostrano i riferimenti contenuti nelle sue canzoni, ma soprattutto la sua scrittura, fortemente evocativa di immagini e per questo estremamente filmica.

 

Partiamo dal video che ha al centro lo spaventapasseri, una figura spesso esplorata dal cinema (da Buster Keaton al Cavaliere oscuro di Nolan, passando per Il mago di Oz o l’omonimo film di Jerry Schatzeberg).

Sicuramente nel cinema ci sono diversi esempi. In realtà non avevo in mente un’immagine cinematografica, l’ho fatto semplicemente perché passando con il treno di fianco a una bella campagna, ho notato che lo spaventapasseri da anni non c’è più, rimane semmai nei ricordi più infantili o se trovi un contadino stiloso che vuol far vedere che ha gusto. Gli spaventapasseri sono stati sostituiti dalla carta argentata delle uova di Pasqua e, successivamente, dai cd attaccati sugli alberi. Vedendoli, ho pensato che quel cd potesse essere il mio e ho ritenuto che il passo successivo più giusto fosse quello di sostituire i cd con dei cantanti in carne e ossa. Se la mia musica spaventa perché riverbera luce quando è sugli alberi, allora vado io a spaventare gli uccelli. Ho quindi chiamato una collega, Petra Magoni – dotata di una straordinaria mimica da performer – che poteva condividere con me quest’idea. Dopodiché il riferimento cinematografico senz’altro c’è, rispetto alla mia storia di spettatore forse Il mago di Oz è quello più centrato. Ed è anche una bella icona. Mentre la chiusura è un omaggio a Charlie Chaplin.

 

Interessante l’uso che fai delle diapositive animate.

C’è questo tentativo di usare la diapositiva come tramite tra il presente e gli anni che mi porto dentro perché la diapositiva è proprio figlia della mia epoca. Adesso ci sono troppe immagini, la memoria esiste soltanto se rivedi la tua fotografia che serve quasi per ricordarti dove stavi. È come se uno dovesse rivedere la foto per rimettere a fuoco la propria vita, invece una volta c’erano dei rullini che ti consentivano al massimo 36 scatti e quei 36 li dovevi dosare, quindi sceglievi i momenti che davvero meritavano di essere immortalati. Oggi raccogliamo informazioni con una fotocamera di continuo per riverberare il fatto che esistiamo.

 

L’ambientazione del video non è facilmente collocabile…

Forse il riferimento è a Bertolucci, quella è una zona dell’Italia che è stata sfruttata relativamente poco dal cinema. La mia fortuna è stata di avere una troupe di professionisti, dall’aiuto regista Iole Natoli, che lo è anche per la serie Gomorra, al direttore della fotografia Gherardo Gossi, un vero maestro.

 

Senza titolo 11Molte tue canzoni fanno riferimento al cinema, fin dai titoli (Replay, 16:9, La soggettiva del pollo arrosto…)

Nella mia vita il cinema è centrale, più della musica. Tutto nasce dal fatto che da ragazzino, a Cattolica, ho lavorato al MystFest, quindi ho avuto modo non solo di appassionarmi al cinema, ma anche di conoscere bene tutti i direttori – da Felice Laudadio a Irene Bignardi a Giorgio Gosetti – al punto che sono diventati cari amici perché avevo 14 anni ed ero un po’ la mascotte del Festival. Lavoravo lì tutti gli anni, mi vedevano crescere. Per esempio, ero amicissimo di Claudio G. Fava – ero il ragazzino con il quale a lui divertiva parlare, figurati a me -, di Oreste del Buono. E lì ho conosciuto Daria Nicolodi, che mi ha poi portato a scappare di casa quando sono andato da Dario Argento. Il motivo era che io avevo instaurato una buona amicizia con lei e sognavo di fare le colonne sonore e il regista, anche se già scrivevo canzoni perché mio padre è un musicista classico, quindi ho sempre avuto non le cineprese, ma gli strumenti musicali in casa. Era una passione talmente forte quella per il cinema che, a 16 anni, mia madre mi accompagnò al Centro sperimentale di cinematografia, perché volevo abbandonare il liceo classico e iscrivermi lì. Poi non se ne fece niente, ma sicuramente devo la mia professione anche a quei giorni in cui sono scappato di casa e sono andato a Roma perché ho avuto la percezione di non voler vivere più di tanto nella mia terra, anche se la adoro. E poi ho fatto tutti i corsi di sceneggiatura di Tonino Guerra a San Marino, i miei genitori mi ci portavano.

 

In Giudizi Universali c’è un bellissimo verso in cui citi Marcello Mastroianni.

gemelleCon Mastroianni sono stato un pomeriggio a parlare, al MystFest, nel 1985. Avevo visto tanti suoi film, ma soprattutto era l’idolo di mia mamma. Ovviamente è stato un pomeriggio indimenticabile. Abbiamo parlato della Romagna, mi ha raccontato delle prime volte che ci veniva, all’epoca era sposato con Anna Maria Tatò. In quegli stessi anni ho conosciuto Wes Craven, Sam Raimi – il primo autografo che ho è proprio il suo (l’unico altro è quello delle gemelle di Shining, perché mi sembrava interessante averlo) – e lì è nata la mia passione per il cinema horror. Penso di essere un grande esperto di horror, soprattutto di quegli anni, oggi non riesco a vedere un film dell’orrore, forse dopo aver visto l’ultimo Martyrs di Pascal Laugier ho staccato la spina. Penso siano andati oltre, hanno superato il livello. Ti chiedi se è la realtà che imita il cinema o viceversa, e in certi momenti le due cose si confondono e il cinema quasi supera la realtà. Anche se so che non è vero, mi fa effetto, all’improvviso mi sono sensibilizzato molto, è un po’ come quelli che svengono quando fanno il prelievo del sangue. Incomincio a non sopporatre più la violenza costruita sul set, già ce n’è troppa fuori, nella realtà.

 

E a casa cosa vedevi?

femmeErano anni bellissimi in cui il cinema entrava in casa attraverso gli allegati. Sto parlando degli anni 80, quando l’Unità cominciò a distribuire ogni settimana le videocassette. Oggi può sembrare una cosa normale, ma all’epoca ha riempito le case di molti italiani: compravano il giornale per gli allegati anche persone che non c’entravano niente con l’Unità o con la sinistra. È stato un regalo enorme perché tutti ci riempivamo di cinema e forse i film si vedevano davvero. Oggi c’è una cultura diversa e il cinema non è rispettato, vedi gente sui treni che guarda The Revenant o l’ultimo Tarantino tre mesi prima dell’uscita, è gente che è annoiata del futuro. Sempre in quegli anni ho scoperto anche il cinema francese, su tutti Truffaut: ho iniziato con I quattrocento colpi, mentre La signora della porta accanto è un film che mi ha segnato la vita, bellissimo, struggente.

 

Con Dario Argento siete rimasti in contatto, a lui hai affidato l’incipit de Il mostro.

Prima del concerto, ho rivisto Dario al Noir in Festival di Courmayeur dove Gosetti mi aveva chiamato a far parte della giuria nel 2009. Lui non era in giuria, ma era lì come spettatore e ci siamo ritrovati. Anche lì sono stato benissimo, ero in giuria con Jorge Guerricaechevarria, lo sceneggiatore di Alex de la Iglesia, che ho adorato. Uno dei miei film di culto degli ultimi anni è La comunidad, che ho amato più di Crimen ferpecto o di Le streghe son tornate.

samuele

Hai firmato anche la colonna sonora di Chiedimi se sono felice.

Sì, ho fatto solo quella e ho partecipato a La gabianella e il gatto (dove ho cantato, ma non ho scritto io la musica ed è un po’ come non averlo fatto, la musica era di David Rhodes, il chitarrista di Peter Gabriel).

 

È un ambito che ti interessa quello della musica per il cinema?

Sì, molto perché per una volta vorrei fare a meno delle parole, non ne posso più di dover scrivere sempre delle parole che accompagnano le mie musiche. Mi piace l’idea, poi magari ci può essere anche una canzone dentro, però vorrei scrivere solo delle musiche. Ho una formazione più musicale che letteraria, la mia impostazione prevede molto quello che si fa nelle colonne sonore, cioè l’assenza di batterie, di basso. Non c’è un concetto pop nella musica per il cinema; secondo me, è fatta più di assenze che di arrangiamenti così densi come siamo costretti a fare noi nelle canzoni.