I misteri del Cartello

Brad Pitt Michael FassbenderIn The Counselor – Il procuratore di Ridley Scott, quando ormai la situazione sta precipitando, il narcobroker interpretato da Brad Pitt dice all’avvocato Michael Fassbender che chi guarda uno snuff movie si pone su un piano di complicità diretta con chi lo realizza. Perché senza uno spettatore, viene meno il produttore. Il discorso può tranquillamente applicarsi al consumo di droga. Non a caso, il narcotrafficante Joaquín Guzmán detto El Chapo, nell’intervista rilasciata a Sean Penn per la rivista americana Rolling Stone pochi giorni prima di essere arrestato, sostiene che senza il consumo negli Stati Uniti non ci sarebbe il narcotraffico in Messico e in tutta l’America Latina. Concetto più volte ripreso dal suo omologo immaginario Adán Barrera, co protagonista del nuovo libro di Don Winslow, Il cartello (Einaudi Stile Libero, pp. 882, E 18).  La domanda genera l’offerta, l’offerta può generare il caos. Non è una regola del capitalismo, a volte ne è una conseguenza. Già Jean-Patrick Manchette, inventore sul finire degli anni 60 del secolo scorso del cosiddetto neopolar, sosteneva che il crimine non fosse una perversione dell’economia di mercato ma una sua componente strutturale. Ragionamento alla base di tanti suoi noir. In termini diversi è tornato sul tema Roberto Saviano con Zero Zero Zero (2013, Feltrinelli), una copia del quale si dice sia stata trovata nel covo del Chapo. Curiosamente, il Brad Pitt di The Counselor – Il procuratore non fa cose troppo diverse, benché tendenti al nero, del Brad Pitt di La grande scommessa di Adam McKay (2016), e basti questa “coincidenza” a chiudere il cerchio del ragionamento.

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Il cartello è il seguito di Il potere del cane (2015), straordinario romanzo americano che senza reticenza alcuna ricostruisce le nefandezze della politica estera statunitense in America Latina, in particolare nel periodo dell’amministrazione Reagan, quando all’allora vicepresidente George Bush, ex direttore della Cia, viene dato incarico di “indirizzare” le politiche centro e sud americane in favore di Washington, con strumenti 41hR-4FsfQL._SX317_BO1,204,203,200_non sempre limpidi. Politica che culmina con lo scandalo Irangate, a metà degli anni 80, quando si scopre un traffico d’armi dagli Usa all’Iran (!) i cui proventi servono a finanziare i Contras antisandinisti in Nicaragua. Al centro di entrambi i libri Arturo Keller, eroe noir piuttosto singolare. Winslow ha una bella intuizione: se nella letteratura hard boiled americana la figura del margine è il detective privato, inviso sia ai fuorilegge che ai poliziotti, in epoca postmoderna è un meticcio, padre gringo e madre messicana, perfettamente bilingue, di nazionalità statunitense ma ben mimetizzato anche oltre confine, dove lo odiano come al di là del fiume. Un figlio di nessuno. Nel primo libro Keller parte da idealista convinto di lottare come un cavaliere Jedi contro il lato oscuro della forza; nel secondo è subito un desperado dal passato falciato e dal futuro inesistente, che amici e nemici chiamano “Killer Keller”. Tornato nei ranghi della Dea dichiara guerra ad Adán Barrera in attesa dell’inevitabile giro di valzer.

 

4640_DonWinslow_1246399842Il cartello non ha lo spessore di Il potere del cane, che fa della sua bulimia letteraria, dell’energia polemico-politica di Winslow, un fortissimo elemento di seduzione. Dopo dieci anni l’autore è più “ordinato”, il libro sembra una pre-sceneggiatura, la novelization in anticipo di un film già annunciato (sempre con la regia di Ridley Scott). Tuttavia ci sono capitoli memorabili, ed è in particolare la storia senza speranza del giornalista di Ciudad Juarez, Pablo Mora, a risultare imprevista, sorprendente, anche dolorosa per il lettore. Se lo stile è meno vorticoso e più strutturato (cosa che, ripetiamo, non è un pregio) resta espressa fino alla declamazione l’incazzatura politica. Winslow non fa sconti come sempre, e a proposito del raid contro Bin Laden, queste sono le sue parole esatte: «Il presidente ha fatto finta di niente tutto il tempo, quella volta, ricorda Keller. Faceva battute alla cena della Casa Bianca per la stampa come Al Pacino al battesimo, nel Padrino, quando sapeva di avere ordinato un massacro». Infine, il modello narrativo è quello “mitopoieutico” di James Ellroy (che non a caso passa il testimone all’erede definendo Il cartello «Il Guerra e pace della lotta alla droga»), in particolare di American Tabloid (1995) e dei suoi seguiti. La storia con la s maiuscola a fare da sfondo, con i suoi personaggi autentici. E davanti, in prima fila, protagonisti inventati oppure rielaborati a livello finzionale, come nel nostro caso Barrera, boss del cartello del Sinaloa, oppure Ochoa “generale” dei Los Zetas. Benché abusata, la formula funziona ancora, segno che di una narrazione simile il nostro tempo devastato e vile ha dannatamente bisogno.