Spie come loro

47751_pplIn Operazione U.N.C.L.E. di Guy Ritchie un agente segreto degli Stati Uniti e uno sovietico si alleano per sconfiggere insieme la minaccia atomica ordita da una banda di nostalgici di Mussolini e del Terzo Reich. In piena guerra fredda, ma i cascami anni 60 del film sono più iconici che ideologici, come è nello stile brit pop del regista. La storia è improbabile ma non nuova, dato che Napoleon Solo e Illya Kuryakin, le due spie, sono protagonisti di un glorioso telefilm andato in onda in Usa tra il 1964 e il 68. Sbarcò in Italia con il titolo L’uomo dell’U.N.C.L.E., puntando tutto sull’americano interpretato da Robert Vaughn. Il telefilm da piccolo mi piaceva parecchio e in effetti mi ricordo solo di Solo, per due motivi: 1) la sua arma era una gun machine scomponibile di cui esisteva anche il giocattolo, che purtroppo nessuno mai mi ha comprato. 2) Vaughn era uno dei Magnifici sette. Oggi direi il personaggio più complesso e interessante (è il vigliacco del gruppo), da bambino preferivo James Coburn perché tirava i coltelli. Mi piaceva anche Vaughn comunque, per via dei guanti neri. Da Manolo Montoya di Ai confini dell’Arizona a George Peppard in Due stelle nella polvere, e perfino Alain Delon in Sole rosso; ho sempre avuto un debole per i pistoleri con i guanti neri. Chissà perché.

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Operazione U.N.C.L.E. testimonia del rilancio del genere spionistico e della “nostalgia” per la guerra fredda, i suoi riti e i suoi miti. Steven Spielberg presenta a breve (al New York Film Festival, 25 settembre – 11 ottobre) Il ponte delle spie, nelle sale italiane dal 17 dicembre. Una storia vera, quella della cosiddetta Crisi degli U2. Non c’entrano Bono e The Edge, che però diedero alla band proprio il nome dell’aereo utilizzato dalla Cia per spiare (in mancanza dei satelliti) l’Urss. Chruščёv li definì «bare volanti»: uno in effetti riuscì ad abbatterlo. Il pilota, Francis Gary Powers (interpretato nel film da Austin Stowell), fu arrestato e condannato a un lungo soggiorno in Siberia. A un avvocato di New York, Tom Hanks, l’arduo compito di trattare con i russi per il rilascio della spia. Il ponte del titolo fa riferimento a quello di Glienicke, a Berlino, dove  Nato e Patto di Varsavia si scambiavano allegramente prigionieri (nel 1985 ne sono transitati ben 27). La sceneggiatura dei fratelli Coen non è di per sé una garanzia, dato il soggetto (il loro Burn After Reading – A prova di spia è quasi comico, e qui a bottega preferiamo i toni noir). Speriamo soprattutto che sia in forma Spielberg, e pensì più a Munich che a, non so, War Horse.

 

spectre-setphoto1In tutto questo, facciamo i conti senza l’oste, 007, che nell’imminente Spectre, ancora diretto da Sam Mendes dopo il botto di Skyfall, ritrova i nemici storici dello Special Executive For Counter-Intelligence, Terrorism, Revenge and Extortion, da cui l’acronimo. Una sigla e un nome (Blofeld, il numero 1 dell’organizzazione) che rimandano al Bond degli anni 60. Fa sorridere come in questi giorni di rinnovata gloria per il genere (va almeno citato il divertente Spy con Melissa McCarthy, Jason Statham e Jude Law, poco fortunato da noi ma di discreto successo in Usa e Uk) esca la notizia che Frederick Forsyth avrebbe lavorato per il Sis, l’intelligence di Sua Maestà. Mancava solo lui, perché di Graham Greene e John Le Carrè si sapeva da tempo. E di Ian Fleming pure. Nella sua introduzione al romanzo Dalla Russia con amore (il capolavoro dell’epopea bondiana, e mi riferisco anche al cinema) si legge questo: «La maggior parte dei retroscena di questa storia è esatta… Il quartier generale della Smersh (segue l’indirizzo esatto!!, ndr) è descritto fedelmente…». Come diavolo faceva a saperlo lui? Quest’estate ho letto Il simulatore di Forsyth, scritto nel 1990 poco dopo la caduta del Muro di Berlino: quattro racconti con un unico protagonista, Sean McReady. Si occupa di ingannare il nemico per il Sis, e di svelare i suoi inganni. È talmente pieno di informazioni “riservate” sull’apparato sovietico che appunto torni a chiederti: come diavolo fa a saperlo lui?