A Cannes Classics il fiammeggiante melò Santi-Vina

1671829Com’era il cinema thailandese negli anni Cinquanta del Novecento? La sezione Cannes Classics ha proposto, in copia restaurata, un’autentica rarità: Santi-Vina (1954) di Thavi Na Bangchang (firmato come Marut). Santi-Vina occupa un posto miliare nella storia del cinema della Thailandia. In un’epoca in cui nel paese asiatico si realizzavano solo film in 16mm e in bianconero, il lungometraggio di Thavi Na Bangchang fu il primo in 35mm e a colori. Un melodramma fiammeggiante. Una storia d’amore impossibile. Nel contesto di una realtà contadina, di una comunità povera, di un monastero che domina quella regione rurale così ben descritta nei totali collocati all’inizio del film (e ripresi, per conferire circolarità al racconto e a quel modo di vivere, verso la fine) e nelle prime scene. Sottolineato da una colonna sonora imponente, certo troppo presente nel comporre ogni tipo d’emozione narrata, Santi-Vina è una sorprendente immersione in una storia d’amore che avanza nel tempo, negli anni dei personaggi.  Un film suddiviso, anche se non enunciate, in tre parti: un prologo, una parte centrale, un epilogo. E un film in cui il regista, dentro tale struttura, ha lavorato con precisione sulle dissolvenze incrociate e quelle a nero. Le prime, usate per raccordare i passaggi all’interno di ogni capitolo. Le seconde, scelte per segnare la chiusura dei capitoli, una cesura più netta nel passaggio da una fase alla successiva della narrazione.

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Santi è un bambino che vive in una capanna con il padre, è diventato cieco quando una caduta di pietre lo colpì, uccidendo la madre, e suona magnificamente il flauto. Vina è una coetanea, a differenza di lui va a scuola, ha una madre e un padre. Santi e Vina si vogliono bene. Si cercano, giocano, e parlano appoggiati a un cumulo di paglia. Ma il bullo della scuola, Grai, si intromette fra loro, maltratta Santi, vorrebbe Vina per sé. Il triangolo è già nato, anche se loro sono ancora piccoli. Si tratta di segni che saranno sviluppati in seguito. Basta uno stacco sulle montagne e l’immagine di un fiume decorato per una festa popolare, con panoramica che si sposta a incontrare Santi e Vina, per segnare il passare del tempo. Loro sono cresciuti e si amano sempre. Partecipano da lontano alla festa e cantano la canzone che ascoltano: “Un uomo e una donna si amano per sempre”. Si baciano timidamente. Non lontano, c’è la grotta dove vivono i monaci e Santi, accolto da loro quando decise di lasciare a malincuore il padre per non pesare economicamente su di lui. Una grotta che sembra uscita da un peplum, frammento di un’Atlantide. Sulla quale piovono regolarmente pietre che si staccano dalla roccia. Thavi Na Bangchang è un abile costruttore di storie e di scene madri che, come in ogni melò che si rispetti, crescono d’intensità fino al miracolo pre-finale con Santi che riacquista la vista proprio in una situazione che replica, in positivo, e a proposito di circolarità, quella in cui la perse. Cadono ancora pietre, il monaco muore per salvare il giovane che, in soggettive sfocate e poi a fuoco (e anche stropicciandosi un po’ troppo gli occhi…, ingenuità filmica ai nostri occhi, ma così tenera, infine…), scopre di vedere di nuovo. Ma a che serve? E a che serve vedere davvero per la prima volta l’amata se non potranno mai scenecondividere il loro amore? Lei, sposata proprio a Grai per volontà delle famiglie. A nulla, infatti, servì tentare la fuga per foreste, corsi d’acqua, campi in una notte (in un effetto notte artigianale da western) portatrice di stanchezza e di sconfitta, essendo gli amanti raggiunti dai cavalieri con le torce che li separano. Sono tra le scene più belle del film. Come quelle, precedenti la fuga, con Vina reclusa in casa dalla madre, con lei che, in un intenso campo-controcampo, guarda fuori dalla finestra con le inferriate (per lei, come sbarre di una prigione) e piange. Santi-Vina è un’opera realizzata da un cineasta consapevole, il cui sguardo supera gli impacci determinati dalla colonna sonora e dalla recitazione e avvolge ogni luogo di uno strato di luminoso artificio. Fino all’epilogo. Santi si fa monaco e, insieme agli altri religiosi, va in giro per il villaggio nel giorno destinato alle elemosine. Ognuno dà qualcosa. E ri-trova, per la seconda volta dopo avere riacquistato la vista, Vina. E ancora una volta non le rivela che non è più cieco. Ancora: a che servirebbe? Santi è un uomo solo, anche fra i monaci. Si incammina per la strada, lontano tanto da loro quanto dall’amata.