A Cannes Classics la fantascienza filosofica di Ikarie XB 1

1345194Com’era il cinema di fantascienza nella Cecoslovacchia degli anni Sessanta? Cannes Classics, tra le sue numerose proposte di film del passato presentati in copie restaurate, ha riportato alla visione Ikarie XB 1 di Jindrich Polák. Il titolo si riferisce al nome della navicella spaziale che nel XXII secolo si dirige verso i pianeti di Alfa Centauri al fine di individuare nuove forme di vita. Il pre-testo è quello di tanti film del genere, di quelli realizzati con budget limitati e con parecchia invenzione creativa. Con effetti speciali che, visti oggi, assumono tutta la forma e la forza di un artigianato talentuoso. Potremmo anche essere dalle parti di Terrore nello spazio di Mario Bava (un altro titolo proposto quest’anno da Cannes Classics), ma con due anni di anticipo e senza mostri che a un certo punto compaiono nel film culto del regista italiano. Quella di Polák è una fantascienza filosofica, nel segno di un’appartenenza storica al cinema dell’Est Europa che per decenni, sotto la cappa dei regimi, ha dato una moltitudine di capolavori. Ma è anche un’opera che, nel suo svolgersi, si apre a scenari di pura visione, di luoghi di totale finzione carichi di memorie filmiche e, alla luce di tanti testi successivi, di preziose preveggenze. Racchiuso quasi completamente in un flash back, dove però non si dichiara didascalicamente lo scarto temporale, Ikarie XB 1 ha un’ouverture che sa di horror. Un uomo vaga (s)perduto negli spazi di un’astronave, ha lo sguardo e i movimenti di un folle in stato febbrile che si aggira in una sorta di labirinto onirico comunicando con qualcuno attraverso microfoni-occhi appesi al soffitto. Lo ritroveremo in chiusura di film, salvato, come gli altri scienziati, uomini e donne, in missione e scampati a un virus introdottosi nell’astronave.

ik1

L’horror non è estraneo a Ikarie XB 1, pur non esibendo creature aliene. È una vera e propria, e lunga, scena horror quella nella quale alcuni membri dell’equipaggio scoprono, in una base vicina, i numerosi cadaveri di una spedizione appartenente al XX secolo. La macchina da presa esplora quei piccoli spazi, sosta sui corpi, molti rimasti intatti, li osserva – e la memoria non può non andare a quello che avrebbe filmato John Carpenter nella base artica de La cosa… Ma questo gioiello dell’ex Cecoslovacchia contiene altri depistaggi. A bordo c’è un pianoforte e, tra dialoghi scientifici, Polák inserisce la scena, anche in questo caso lunga e ben montata, di una festa di ballo. Tutti sono in abito da sera e danzano. Per illuminazione e lievità del filmare, sembra uscire da uno dei tanti film esistenziali degli anni Sessanta. Un tocco di nova vlna in un film di fantascienza. Una festa alla quale non partecipa il comandante MacDonald, che ha lasciato la moglie, incinta, sulla Terra. La osserva, la festa, dai monitor, fino a togliere il sonoro quando non sopporta più quegli attimi di divertimento vissuti dai colleghi. Polák tiene insieme questo materiale, crea tensione e intimitá, e mistero verso quello che potrà accadere. Una forma di vita proveniente da un pianeta bianco e inesplorato li ha salvati dalla minaccia esterna che incombeva sulla navicella. Dagli schermi la spedizione guarda con apprensione e curiosità quella forma sconosciuta che, entro un’ora, raggiungeranno. Cosa vi troveranno? Le immagini di quell’altrove sono confuse, ma invitano alla prosecuzione del viaggio.