A Locarno 71 l’autodistruzione e i legami ossessivi di Seuls di Francis Reusser

“C’era una libertà libertaria nel fare cinema”, ricorda Francis Reusser. Al cineasta svizzero d’area francese, nato a Vevey nel 1942, la sezione Histoire(s) du cinéma del festival di Locarno ha dedicato un breve ma intenso omaggio. Ogni anno è tradizione benvenuta che la manifestazione apra delle finestre sulla storia della cinematografia svizzera. L’occasione è data da restauri o digitalizzazioni di film resi così nuovamente visibili, affinché il loro valore artistico venga, pur su supporto diverso, preservato. Quello svizzero è un cinema meraviglioso, che va ben oltre le opere degli autori, ormai classici, più conosciuti, si pensi solo al contributo immenso dato da Alain Tanner, Claude Goretta, Fredi M. Mürer. E il lavoro di Reusser vi rientra a pieno titolo. Per Frédéric Maire, direttore della Cinémathèque suisse, Francis Reusser dalla metà degli anni Sessanta percorre il paese d’origine “firmando opere assai diverse, tra lago e montagna, città e campagna, rivolta e lirismo”. Con quella costante “libertà libertaria”. Realizza film di finzione (il primo lungometraggio, Vive la mort, risale al 1969, ma fu girato nel settembre dell’anno prima, nel pieno del clima rivoluzionario di quel periodo) e documentari (il più recente, La séparation des traces, è del 2018 e, sempre nelle parole di Maire, si tratta di un testo “molto personale che percorre la sua storia del cinema”), film per la televisione e cortometraggi (tra cui il segmento Patricia del film in quattro episodi Quatre d’entre elles del 1968, ritratto di altrettante figure femminili di differente età).

Del 1981 è Seuls (il film più amato dal regista). Girato a Montreux, sul lago Lemano, è un gioiello. E vederlo in copia digitale non ha fatto che accrescere il desiderio (ormai impossibile) di poterlo fruire nella fisicità della pellicola. Seuls, come spiega perfettamente il titolo, è un film di personaggi soli, pur frequentandosi per abitudine o casualità; delle loro solitudini e continue ricerche esistenziali che sono i primi ad alimentare nel bisogno di avvicinare e sciogliere legami ossessivi fino alla ripetuta auto-distruzione; di memorie, soprattutto di fantasmi da inseguire con altrettanta tensione sado-masochista, alla ricerca di tracce, di resti, di intime immagini familiari da rivedere alla moviola o del volto di una donna mai esistita, cui dare un nome e una storia. Nel primo caso, il pittore e regista in declino Ludovic (Michael Lonsdale) si proietta frammenti di cose girate quando lui e la compagna Lucienne (Bulle Ogier) erano una coppia agiata e felice. Ora la proprietà, un’isola con villa, sta per essere perduta da Ludovic e l’amore con la donna tanto amata sta per troncarsi. Nel secondo caso, il trentacinquenne Jean (Niels Arestrup), che nelle scene d’apertura cittadine vediamo compiere una serie di gesti che non fanno che isolarlo ancor più, dopo avere trovato le fototessere abbandonate da una donna, si allontana dal centro abitato in cerca di quel ‘fantasma d’amore’ che chiamerà Marie, entrando, senza meta, anche in un bar dove Ludovic e Lucienne stanno litigando. Non essendoci realismo convenzionale, ma descrivendo il percorso di una decadenza collettiva borghese, morale e sociale (con dialoghi tranchant, pieni d’ironia, crudeli), non suona strano che la coppia inviti lo sconosciuto Jean nella loro villa, e a fermarsi, e che lì convengano altri bizzarri personaggi – fra cui la giovane artista Carole (Christine Boisson) che, nel di-segnare con Jean un reciproco desiderio rinviato, compiuto, frantumato, tenterà inutilmente di mettere l’uomo di fronte alle proprie (ir)responsabilità sentimentali, e una misteriosa donna vestita di nero (Olimpia Carlisi), in realtà una transessuale. Sono corpi perduti dentro di sé, quelli descritti da Francis Reusser. Che ‘dialogano’ con personaggi e film del cinema di quegli anni (c’è sempre qualcosa di ‘speciale’ nei film realizzati a cavallo di due decenni, contenendo ancora segni di quello precedente e ponendosi come ‘pionieri’ di quello appena iniziato). Ci sono coincidenze fertili. In Seuls la memoria va al cinema magnificamente apolide e sognatore di Peter Del Monte (quasi coetaneo di Reusser e con Olimpia Carlisi a creare un ulteriore legame, essendo stata anche l’interprete qualche anno prima di Irene, Irene). E già lascia intravedere, Seuls, i corpi che svaniscono di Identificazione di una donna di Michelangelo Antonioni, che uscirà un anno dopo e avrà nel cast Christine Boisson.