A Trento Too High to Fall. Cinque donne in cima all’Everest

Cinque donne cinesi non scalatrici professioniste, si uniscono per portare a termine un’impresa mai tentata prima: scalare l’Everest diventando il primo gruppo di questo tipo ad aver tentato l’impresa ed entrando, così, nella Storia. Il punto di partenza, dunque, promette adrenalina, saggezza e paesaggi spettacolari. Il ritmo è avvincente e le cinque protagoniste vengono presentate nelle loro diverse sfaccettature caratteriali e umane. Ada, Mizi e le altre si preparano per questa impresa da due anni, ma una valanga nel 2014 le ha costrette a posticipare la spedizione e a renderla, nei loro pensieri, ancora più importante. Così inizia Too High to Fall, racconto di impianto televisivo del regista messicano Arturo Casares (che ha vissuto 11 anni in Cina lavorando per la televisione) che segue le protagoniste dall’inizio, da Kathmandu fino al giorno in cui un terremoto di magnitudo 8,1 colpisce il Nepal. Una cronaca puntuale e ben strutturata, dal 10 al 25 aprile 2015, esattamente quindici giorni, durante i quali le storie delle cinque donne emergono e si incrociano con quelle di una natura severa e sontuosa al tempo stesso, con gli ostacoli che sembrano insormontabili e le differenze di approccio all’impresa, a seconda delle ambizioni e dei singoli caratteri. Si cammina in silenzio, ma tra loro le differenze si fanno sentire. “Non si tratta solo di altitudine – si dice – ma di attitudine. Andare avanti affrontando ciascuna i propri limiti”. Un percorso difficile, quindi, scandito dall’entusiasmo di tutti, una sorta di anomala corsa contro il tempo, o meglio, contro la percezione del tempo di chi questi luoghi li vive da sempre opponendo una naturale lentezza.

 

 

L’arrivo al campo base sud sembra pieno di buoni auspici. Grazie al bel tempo la temperatura si alza fino a 15 gradi e, oltre alle quotidiane esercitazioni, è possibile lavarsi e rilassarsi nel tepore delle tende. È a questo punto che l’improvviso terremoto rompe il silenzio e l’attesa, anche se le immagini della valanga che ne consegue vengono anticipate nei primi minuti del film e poi sparse lungo tutto il racconto, come a voler spezzare la tensione della salita per aggiungere pathos. Stratagemma interessante, anche se non completamente riuscito (come, del resto, lo stesso film, che rappresenta una versione condensata della serie, ben più lunga e destinata alla televisione). Si sente la mancanza di una riflessione più ampia e di un respiro capace di esprimere il pensiero profondo delle donne coinvolte. Perché non basta seguirle e raccogliere frammenti della loro impresa. Si sente il bisogno di legare la maestosità delle immagini ad un discorso esistenziale, che possa esprimere la spiritualità del luogo e sottolineare il contrasto insanabile che esiste tra loro e la stessa filosofia della montagna. “Quando scali una montagna, riesci a vedere cose che la maggior parte della gente non vede”, dice una delle protagoniste proprio all’inizio del viaggio, eppure la macchina da presa di Casares non sembra accorgersene.