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Dieci anni dopo: The Strangers – Prey at Night

Era il 2008 quando The Strangers rivelava il talento di Bryan Bertino, poi confermato dai meno visti Mockingbird e, soprattutto, The Monster. Cosa rimane, dieci anni dopo, di quel folgorante esordio? Evidentemente abbastanza da sbrogliare l’intricata matassa di passaggi di consegne che aveva impedito la realizzazione di una nuova storia scritta dallo stesso Bertino sempre nel 2008, a breve distanza dal capostipite: alla fine i produttori Marc Godfrey, Robert Jones, Mark Lane e James Harris hanno unito le forze e, dopo aver affidato allo sceneggiatore Ben Ketai il compito di dare una rinfrescata al copione, hanno dato l’agognata luce verde al progetto, sotto la guida di Johnnes Roberts, specialista della suspence e già autore, fra gli altri di 47 metri. A cambiare è la tipologia di racconto che, pur mantenendo l’azione concentrata in un luogo circoscritto e l’esplorazione divertita dell’implacabile gratuità del male, amplia lo scenario, passando dal puro home invasion a una sorta di camping che riecheggia in parte i trascorsi di Venerdì 13. Qui si ritrova insieme una famiglia disfunzionale, madre, padre e due figli adolescenti, in cui risalta la più piccola Kinsey, dall’animo ribelle: l’interazione problematica tra i quattro riflette tanto lo scenario socio-economico circostante (il gruppo ha problemi a far quadrare il bilancio familiare), quanto la furia distruttrice che sarà poi incarnata dai tre Strangers, l’Uomo in Maschera, Pin-up e Dollface. Come nel primo capitolo gli assassini agiscono spinti da una furia tanto implacabile quanto ludica nel loro tendere trappole ai vivi, in un gioco del gatto col topo che rifugge i facili effetti “bus” per lavorare maggiormente sulla suspense.

 

L’aspetto peculiare del meccanismo prediletto è la tendenza tanto ad assecondare quanto a dilatare e rimandare le caratteristiche tipiche del genere: molto dialogato nella prima parte, il film si prende parecchio tempo per definire i caratteri e i rapporti dei personaggi, ma senza mai realmente entrare nel merito dei trascorsi che hanno determinato la situazione umanamente compromessa del presente. La tendenza a un tipo di racconto elusivo si ritrova nelle motivazioni inespresse degli stessi Strangers, che uccidono senza apparente causa, ma nella cui gratuità omicida si ritrova una coerenza difficilmente riscontrabile nei nevrotici protagonisti. Complice lo scarso carisma degli interpreti, contrapposto all’efficacia evocativa delle maschere assassine, si rischia insomma di parteggiare per i “mostri”, cui non a caso sono demandati i momenti migliori del film. Anche qui, però, subentra un doppio passo che rende le imprese tanto scioccanti quanto tipiche, già viste, ricalcate sui modelli imprescindibili di Tobe Hooper o John Carpenter, richiamato con sin troppa deferenza nella stessa colonna sonora di Adrian Johnston o nel pickup incendiato alla Christine. Se la compattezza ne risente, a guadagnarne sono le singole parti, con momenti di genuina inquietudine che trovano la loro massima rappresentazione nella bella scena della piscina, in cui un po’ tutte le direttrici sembrano trovare la quadra: eleganza della messinscena, attenzione alla gestione dei tempi, un gioco di ferocia quasi seduttivo e un rapporto fecondo con la musica, che accosta alla violenza i toni melliflui delle ballate anni Ottanta. Nelle pieghe del racconto emerge inoltre una possibile pulsione soprannaturale (alla Halloween, proprio) che non viene mai realmente espressa, ma si esalta nei vari giochi del vedo/non vedo e nella voglia implacabile degli assassini di portare a termine il proprio compito, e lascia presagire possibili sviluppi futuri molto differenti da come suggerito da un finale altrimenti destinato a chiudere definitivamente la partita. In fondo, la vera e più grande capacità di questo nuovo Strangers sta proprio nelle pieghe del non detto e non mostrato, dove si riesce a esaltare – per caso o per azzardo – il miglior potenziale evocativo del genere horror.