Emozionale e politico: a Locarno 72 Douze mille di Nadège Trebal

Emozionale e politico, Douze mille di Nadège Trebal arriva in Concorso a Locarno 72 con alle spalle l’attività di documentarista sui generis della regista, già lì questione di corpi sporchi di polvere e unti di grasso, vestiti della tuta blu che ne disegna l’umanità prammatica, il sentimento della forza lavoro: prima Bleu Pétrole tra i lavoratori di una raffineria di petrolio sulla Loira, poi Casse tra gli operai che smontano motori e carrozzerie in un’autodemolizione… Entrambi già segnati da quella ritmica empatica e sentimentale che pare più interessata al contatto coi corpi e con le anime che alla contemplazione intellettiva degli spazi e delle azioni. Esattamente come in Douze Mille, che è il suo primo lungometraggio di finzione, storia d’amore e di denaro e di lavoro avvinghiata alla dimensione emozionale e politica dei corpi “alla giornata” di Frank e Maroussia: lui per anni ha lavorato come infiltrato in uno sfasciacarrozze, piazzando pezzi di ricambio a clienti raccattati proditoriamente, sino a quando non s’è fatto beccare ed è stato, per così dire, “diffidato”; lei fa sitteraggio domestico dei bimbi delle donne del quartiere che vanno a lavorare. Interpretati da Arieh Worthalter e dalla stessa Nadège Trebal, i due sono una forza della natura che fa sesso con sapido amore e selvaggia passione, come ci racconta molto bene una intensa sequenza iniziale, perché la carne sta al sentimento come il denaro al lavoro. Questo loro lo capiscono bene e infatti stipulano un patto molto chiaro: lui partirà in cerca di lavoro e tornerà solo quando avrà guadagnato gli eponimi Douze Mille, dodicimila euro che corrispondono a quanto guadagna lei in un anno. Non un euro di più né un euro di meno. Lei lo aspetterà, ma solo a patto che non vada mai a letto con un’altra donna: perché il sesso nell’amore, dice lei, è come i colori su una tavolozza, una volta che si mischiano non si può più tornare indietro…

E lui parte, come un Ulisse della moderna mobilità, mentre lei resta, come una Penelope che detta le regole: gli studi letterari alla Sorbonne della regista si sentono tra le righe, come si sentono gli anni di scrittura assieme a Claire Denis, di cui Nadège Trebal ha trattenuto la sensibile asciuttezza, la mobilità emotiva e l’imprevedibilità caratteriale dei personaggi, incarnandole però in uno stile mirabilmente difforme, lucido e ludico allo stesso tempo, analitico e immaginifico: politico ed emozionale, per dirla con le sue stesse parole… Basta guardare la nobiltà ferina che attribuisce alla sua Maroussia, proletaria che ha ancora nel sangue la Bastiglia tanto quanto l’Ottobre russo cui rimanda l’origine dei nomi della regista e del suo personaggio. E basta raccogliere la simpatia furfantesca e schietta del Frank di Arieh Worthalter, testosteronico docile e danzante, una via di mezzo tra il Gian Maria Volonté della Classe operaia va in paradiso e il Chaplin di Tempi moderni, sognatore e incantatore che parte per raccogliere denaro, si ritrova di nuovo senza lavoro, s’inventa balletti strampalati per i suoi colleghi mancati e s’ingegna come può per guadagnare quei dodicimila euro che, nell’amore con Maroussia, corrispondono alla sua forza lavoro e e gli permettono di tornare a casa. Nadège Trebal lascia che il film segua la sua ispirazione, insistendo sui margini di una storia che lei struttura in maniera molto precisa, incardinata sul cuore del nostos, sulla percezione di una nostalgia del ritorno a casa che si equilibra nella corrispondenza tra capacità economica e capacità sentimentale, in una accettazione lucida e ribelle delle regole imposte all’umanità dal capitale… Il film risuona in certa misura della stessa sensualità proletaria appartenuta a Alain Guiraudie, ma si dispone a una imprevedibilità che scontorna i gesti dei personaggi in chiave meramente pulsionale e avvita gli snodi narrativi in chiave chiaramente logica. Nadège Trebal si lascia attraversare da correnti emotive e visive piene e passionali, poi nella terza parte sembra concedere qualcosa di troppo al gesto eccessivo un po’ scritto (in particolare la schiera di amazzoni ladre che si aggira nel porto), senza tuttavia intaccare la pienezza del finale. Douze Mille resta un (quasi) esordio da tenere a mente.