Fräulein. Tempeste solari e cuori in inverno

63Una tempesta solare, due (o forse più) cuori in inverno che si illuminano di fiabe adulte, frammenti di un’Italia marginale dove i confini confondono lingue, attitudini di vita, maniere e manierismi esistenziali: Fräulein – Una fiaba d’inverno è uno di quei film scritti sulla divergenza tra gli stati (d’animo, esistenziali, fisici…) e quelle stasi che si tramutano in attese. Un film piccolo e sensibile, che ha il coraggio di giocare la carta di una star come Christian De Sica spiazzandola ma non tradendola, come spesso accade quando si pretende dai grandi comici grandi prestazioni drammatiche… Caterina Carone dischiude il suo premiato tracciato documentaristico a un adult coming of age che sembra un po’ la trascrizione affabulante di Valentina Postika in attesa di partire: al posto di Valentina, badante moldava che aspetta di poter tornare dalla sua famiglia, c’è Regina, una donna sola, quasi zitella, che vive isolata in un albergo chiuso da anni senza aspettare nessun futuro; e al posto dell’ottantenne pesarese Carlo, ex partigiano e dirigente comunista, c’è Walter, fresco vedovo in smarrimento sentimentale, che cerca il ricordo dell’amore trascorso in quell’hotel dove è stato felice con la moglie. La matrice stilistica si offre come fosse un’illustrazione umoristica d’altri tempi, insiste sulla svaporizzazione fumettistica della comunità bolzanina, crea personaggi che evocano una traccia un po’ surreale e un po’ ironica, praticando una strada antirealistica che il cinema italiano fatica proprio a trovare: non poteva che essere una documentarista a capirne il valore (lavorando tra l’altro per una produzione come Tempesta, che su questa linea editoriale pare muoversi con piacere, almeno a giudicare dalla convergenza del sia pur meno riuscito Asino Vola di Paolo Tripodi e Marcello Fonte, che pure maneggia un immaginario simile).

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Fräulein ha l’andamento progressivo del percorso di disvelamento intimo e reciproco di due personaggi affiancati in controbattuta: Caterina Carone cita giustamente l’Hal Ashby di Harold & Maude, e infatti il suo film sta tutto nella divertita osservazione di un processo di espiazione della solitudine nell’espugnazione dei rigidi confini delle personalità. Regina è una torre, una fortezza chiusa nella sua diffidenza, e l’arrivo di Walter si configura proprio come un assedio gentile, come la confidente insistenza di un sentimento che cerca il suo posto nel mondo. Ed è fondamentale il ruolo iconico rappresentato dalla presenza di Christian De Sica, sul quale la Carone gioca d’anticipo, materializzandolo alla sua prima 48apparizione come l’immagine del se stesso vacanziero più classico: giacca a vento vistosa, berretto calcato in testa, guanti, affabilità piaciona… Il percorso di umanizzazione di Walter, il suo ritorno alla realtà dall’iniziale smarrimento nelle memorie d’amore, è un vero e proprio svestimento del “personaggio”, giocato dalla regista con intelligenza. D’altro canto, l’espugnazione di Regina (brava, netta e permeabile, Lucia Mascino) passa proprio per il bisogno di riabitare l’hotel, riviverlo, realizzarlo. E su tutto c’è l’alterità assoluta di un universo in tempesta, i fenomeni di sospensione dei magnetismi solari attivi sopra quel cielo montano. Ecco, Fräulein è un film che ha la piccola, quieta eppure solidissima forza di saper scrivere un universo partendo da personaggi che trascendono la loro realtà, ma non per questo risultano meno reali, veri, autentici.