I Cuori puri di Roberto De Paolis, riflesso autentico di un futuro possibile

Due mondi lontani, distanti per estrazione sociale, agiatezza economica, vissuto trascorso. Due anime differenti che però si rincorrono, vogliono abbattere le barriere innalzate dal resto del mondo per preservare lo scarto e le distinzioni. Ecco allora che Cuori puri, esordio di Roberto De Paolis, si apre e si chiude con una corsa a perdifiato, quasi disperata come un grido interiore che trova manifestazione fisica; uguale ma diversa, perché alla fine i protagonisti si invertono nei ruoli e capovolgono le ragioni del rincorrersi, in una circolarità che sembra chiamare in causa il destino. Stefano e Agnese si incontrano così, in una maniera burrascosa che è più un respingersi che un avvicinarsi: lei ha rubato un cellulare da un centro commerciale, lui le corre dietro per recuperare la refurtiva. Uno scontro, un acceso diverbio, poi la comprensione e Stefano la lascia andare. Eppure tra i due si innesca una silenziosa connessione, come due poli opposti che non possono fare a meno di attrarsi, che diventa quasi metafisica quando poco dopo i due ragazzi, nella periferia romana, fissano da lontano la stessa colonna di fumo, in un controcampo esistenziale che idealizza il reciproco pensarsi, sebbene adoperi un elemento visivo negativo, ossimoro alla purezza di un sentimento giovanile.

 

Perché questa purezza nel film di De Paolis non è affatto quella immacolata e priva d’imperfezione, ma è quella sprigionata dall’autenticità dei sentimenti, dalla volontà di essere se stessi in un mondo che cerca a tutti i costi di emarginare (le recinzioni abbondano, come segnale divisorio tra realtà conflittuali), reprimendo identità e desideri. Prigionieri entrambi di una condizione infelice (lei vittima di una madre iperprotettiva e ossessionata sostenitrice dalla castità pre-matrimoniale; lui dal passato problematico e costretto a una vita di stenti e di precarietà economica), Agnese e Stefano cominciano a frequentarsi svincolandosi dai limiti imposti dalla propria “prigione”. Sono tutt’altro che perfetti, protagonisti di piccoli episodi di criminalità o atti di natura razzista (Agnese che finge di essere stata stuprata da uno zingaro). De Paolis racconta questa storia d’amore con uno stile schietto e crudo,  asciutto e diretto, e non svicola dalla messa in scena delle contraddizioni di una realtà di periferia dove la convivenza fra culture si rivela complessa e contrapposta. Il regista romano non ricerca una visione conciliante di un mondo che ha scandagliato a lungo, prima di iniziare le riprese: ne vuole ricalcare le asprezze e le speranze, simboli di una realtà ruvida, tentennante e incerta. Il rapporto tra i due ragazzi si innesta così in una precisa descrizione di ambienti e situazioni che puntano a fotografare un mondo realistico periferico, ai margini delle grandi città, in una ricerca del vero che sembra essere il fil rouge del recente cinema giovane italiano: Cuori puri  si allinea ad altri film che hanno esplorato, con risultati convincenti, la forma più autentica di una irrequietezza adolescenziale che si manifesta nelle forme più svariate, dalla ribellione alla scoperta di sé: si pensi, ad esempio, a I cormorani, Fiore (del quale è evidente una matrice comune), A Ciambra, in cui l’urgenza di rappresentare il mondo prende le forme del racconto di formazione che guarda all’essenza dei suoi personaggi, più che a una loro idealizzazione. Cuori puri procede fino alla fine con la stessa volontà di fotografare uno spaccato quotidiano, confermando – nonstante la storia d’amore sia un po’ più convenzionale rispetto alla descrizione del suo contesto sociale – una tendenza del cinema italiano che vuole uscire dalla gabbia commerciale delle commedie confezionate. La traccia di due vite spesso disconnesse con il mondo che le circonda è lo specchio dove l’opacità quotidiana riflette la luce di un possibile futuro (l’ultimo abbraccio prima della fine): non sappiamo dove e come sarà, ma sappiamo almeno che ne esiste la possibilità.