Il cinema che salva la vita: Friedkin Uncut – Un diavolo di regista, di Francesco Zippel

Non perdiamo mai occasione di accostarci a William Friedkin con l’interesse per l’artista e lo stupore per l’uomo: grande affabulatore, oltre che eccellente regista, Friedkin unisce infatti il piacere conviviale del raccontare, all’assoluta e divertita consapevolezza del proprio essere personaggio. Una strana mistura di narcisismo e candore accompagnano ogni sua pubblica sortita, in cui il gusto per la battuta ironica e il piacere dello stare al mondo non è mai disgiunto da una certa insofferenza di fondo per lo stato delle cose nella cinematografia. Ammiratore sincero dei pionieri su cui ha formato il proprio gusto – la folgorazione sulla via per il grande schermo avviene con la visione di Quarto potere – l’autore de L’esorcista è infatti più tranchant nei confronti della sua generazione e di quelle che l’hanno seguita, sebbene poi i colleghi non manchino mai occasione di celebrarlo. Accade ad esempio nel documentario di Francesco Zippel Friedkin Uncut, presentato alla Mostra di Venezia 75 nell’ambito della sezione Classici, in cui le dichiarazioni del cineasta sono accompagnate dalle testimonianze dei coevi Walter Hill e Francis Ford Coppola, insieme a “epigoni” come Quentin Tarantino, Edgar Wright o Wes Anderson, fino agli interpreti Ellen Burstyn, William Petersen, Matthew McConaughey e Juno Temple. Tutti concordi nello stabilire l’importanza peculiare di un autore che non si è formato nelle scuole di cinema, ha dimostrato che “il cinema può salvare la vita” – riferimento al documentario The People vs. Paul Crump che evitò all’eponimo carcerato il patibolo – e ha poi compiuto una parabola incredibile, da fenomeno a rinnegato.

 

L’intreccio delle testimonianze descrive un percorso che, partendo da Il braccio violento della legge fino alle incomprensioni de Il salario della paura e Cruising, sostanzialmente delimita l’inizio e la fine del miglior cinema americano anni Settanta. Il racconto non ha comunque margini precisi, e non segue nemmeno una linearità prestabilita, è debordante come il suo protagonista e si concede il lusso della divagazione. Procede così, con salti in avanti e ritorni indietro, lietamente disordinato, e arriva fino al presente, con le tappe rappresentate da Vivere emorire a Los Angeles, Bug, Killer Joe, fino all’ultimo The Devil and Father Amorth, presentato, non a caso, ancora a Venezia nel 2017. Seguendo il piacere del “lasciar parlare”, Zippel rinnova i temi cardinali della poetica friedkiniana, ne sublima la curiosità esplorandone la casa, cosparsa di libri, antiche stampe giapponesi e disegni originali di Ejzenstejn, l’amore per la musica classica e le regie d’Opera, e offre pure qualche prospettiva inedita.

 

Con l’ambiguità che contraddistingue i suoi personaggi chiaroscurali, infatti, Friedkin recita la parte dell’anziano mogul che non vede di buon occhio i successori – e in una scena rivela che lo stesso Fritz Lang si era comportato così con lui – salvo poi “incoronare” Damien Chazelle fra i talenti su cui puntare l’attenzione, come a ribadire che lui la scena contemporanea la segue e la conosce eccome! Nello stesso tempo approfondisce i suoi metodi di lavorazione, il piacere del “buona la prima” e del cogliere la spontaneità, pur all’interno di strutture molto documentate per restituire il maggior realismo possibile – un ruolo molto cospicuo, fra le testimonianze, è affidato ad esempio a Randy Jurgensen, che affiancò i veri poliziotti a cui si ispirano i personaggi del Braccio violento della legge e che ha poi ricoperto il ruolo di consulente per il film. La chiosa più ficcante è probabilmente quella affidata a Quentin Tarantino, che ricorda il divertimento testimoniato da Friedkin per il polverone alzatosi attorno a Cruising: in barba ad altri ritratti più dolenti – come quello che emerge dalla conversazione con Nicolas Winding Refn – il “personaggio” Friedkin emerge così quale un autore felicemente scomodo, un guastatore fiero di riverberare un’idea di cinema capace di scuotere le coscienze e le opinioni. Un cinema che davvero può, se non salvare, sicuramente cambiare la vita di chi lo ha seguito nel corso di tutti questi anni.