Il coraggio della verità. Il destino in un nome

Il titolo originale The Hate U Give (che in Italia è diventato il fuorviante Il coraggio della verità) è ispirato all’acronimo creato da Tupac Shakur THUG LIFE (“The Hate U Give, Little Infants Fucks Everybody”), cui lo stesso romanzo, il best-seller di Angie Thomas, si ispira. Come dire che se insegni odio, avrai odio, ed è quello attorno a cui ruota tutto il film, coming of age raccontato dagli occhi e dalla voce della protagonista Starr, sedicenne afroamericana, che vive in un quartiere nero, ma frequenta una scuola prevalentemente di bianchi. L’identità, dunque, fin dal principio, è il tema portante, che coinvolge tutti in una sorta di presa di coscienza collettiva, non senza drammi, retorica e punte di violenza e di ribellione. Tutto inizia nella cucina di casa, dove il padre della ragazza ha riunito la famiglia per insegnare ai tre figli come comportarsi quando saranno fermati dalla polizia, perché troppo spesso gli afroamericani finiscono uccisi per una mossa sbagliata. Impossibile non pensare alle decine di casi ripresi dalla cronaca (e poi insabbiati in sede di giudizio), alle proteste, alla rabbia che si riversa sulle strade. Questo padre ordina ai suoi figli di imparare a memoria i loro diritti di cittadini, presi dal programma delle Pantere Nere, ma decide di restare a vivere nel loro quartiere, violento, dilaniato dalle bande, ma abitato dalla sua gente.

Viene in mente la scena di The Mule con il malcapitato ispanico fermato dalle forze dell’ordne che, nel panico, non fa che ripetere quanto sia pericoloso per uno come lui essere fermato dalla polizia. Qui, però, le cose vanno diversamente e la giovane Starr si trova ad assistere per la seconda volta all’omicidio di un amico. Le regole, a questo punto, vanno velocemente in frantumi, perché non sono più in grado di salvarti la vita e la personalità della sedicenne inizia a emergere, con i pensieri e gli interrogativi fino a allora “tenuti a bada”. E non si tratta solo di riconoscere e combattere l’ingiustizia, ma di ri-conoscersi come parte di una comunità e incarnarla attraverso il linguaggio, la difesa della famiglia e delle proprie idee. George Tillman Jr. affronta tutto questo in un film non sempre riuscito (a volte le repentine svolte drammatiche non hanno il tempo di respirare e di essere vissute dallo spettatore), ma se ne apprezza la densità dei temi e la sincerità del discorso. Una riflessione sulla razza, sulle differenze culturali e sulla necessità di comprenderle, perché il processo di uguaglianza possa essere fruttuoso, sembra dirci Tillman Jr., che realizza un film didascalico e educativo, semplice ed efficace, capace di raffigurare la realtà senza eccessi, affidandola alla narrazione e ai suoi stessi personaggi, caratteri forti, delineati ognuno con caratteristiche funzionali a questa storia, dedicata alla rappresentazione del circolo vizioso dalla violenza sociale presente nelle città americane oggi, triste retaggio di una storia antica che ancora resiste.