Il padre d’Italia, o del coraggio di amare

Probabilmente il film che omaggia in più sensi la musica e la portata simbolica di una regina del pop italiano come Loredana Berté, Il padre d’Italia è opera da cineforum, per i molti temi che solleva e per la struttura esemplaree schematica che sfrutta per farlo: il road movie diretto a Sud, da Torino alla Calabria, imperniato su due personaggi antitetici. Paolo (Luca Marinelli), gay emotivamente spezzato, è appena stato lasciato dal compagno che, dopo una relazione di 8 anni, «voleva di più». Mia (Isabella Ragonese) gli sviene addosso in una dark room, ed è incinta, dropout, senza fissa dimora e single. Paolo decide di prendersene cura. Con un procedimento meccanico, manicheo eppure efficace – stilema del musical mutuato dal cinema degli anni 2000, il rimando a Xavier Dolan è dichiarato – gli sceneggiatori Mollo e Josella Porto incorniciano il film e modellano Paolo e Mia su due successi anni ’80 della Bertè (sarebbe meglio dire, prima ancora, di Ruggeri e Fossati): lui è Il mare d’inverno: solitario, chiuso in se stesso, fuori moda, irrisolto (“e io che non riesco nemmeno a parlare con me”). Lei è Non sono una signora. Incontenibile, esplosiva, inquieta,“una per cui la guerra non è mai finita”. I riferimenti alla cantante di Bagnara Calabra non si fermano qui: Fabio Mollo, apertamente omosessuale, è nato a Reggio Calabria nel 1980, che ha lasciato per studiare cinema a Londra, torna a casa anche con questo suo secondo film (che avrebbe voluto realizzare prima di Il Sud è niente, anche quello ambientato nella sua regione). Ne celebra il mare che riconcilia con la vita ma si diverte a giocare con gli stereotipi locali in una sequenza di felicità balneare, gustosa rivincita sullo sguardo del pregiudizio. Con giusto orgoglio per le sue origini, quindi, celebra in sottotraccia la gloria locale: fa riecheggiare in Mia l’energia ribelle e animale della Bertè, la sua voce roca e graffiante, in un mash up di Cindy Lauper e Courtney Love. Fa di più: trasforma Mimma in Mia, nome che è di per sé un manifesto d’indipendenza e insieme rievoca il talento vertiginoso di Mia Martini (la cui oscurità si riflette nel personaggio di Paolo). L’interprete di Sei bellissima è la portavoce di una sessualità sfrontata, libera, la donna che non trova realizzazione nella maternità. Forse è stata proprio la performance sanremese di Re (1986), quella memorabile coreografia a tre con pancione incorporato, o il vestito da sposa-ballerina del video di Non sono una signora, ad avere ispirato la sequenza più compiuta e liberatoria del film, ambientata in una boutique per spose a Napoli.

 

 

In una sintesi che ha dello spericolato, in Paolo (un Marinelli che lavora in sottrazione rispetto l’energia della partner), orfano cresciuto solo che lavora per un mobilificio emblema della famiglia perfetta, nasce e cresce la tenerezza, la voglia e la pazzia di paternità. Mentre in Mia convivono l’Anti-sposa e la figlia deprivata e quindi (ancora) desiderosa d’amore. La sua battuta sulla Madonna e poi la chiusa di Paolo sul concetto di “miracolo” azzerano in un colpo netto ogni sovrastruttura su cosa sia “contro natura” (sempre sulla scia della Bertè, Mia gioca con l’immaginario religioso, indossando sulla schiena una riproduzione sacra). Nel chiamare Italia la bambina in arrivo, il film dichiara esplicitamente di voler interpellare il pubblico sulle declinazioni di genitorialità e affettività, di voler favorire un dibattito che faccia dialogare pubblici diversi e superi steccati di genere. Almeno così sembrerebbe indicare l’inversione di ruoli finale, improntata all’ imprevedibilità della vita e delle correnti emotive: Mia “fa outing” uscendo di scena, rifiutando la maternità e trasformandosi grazie a Morrissey e There Is A Light That Never Goes Out, decadente elegia di alterità, mentre Paolo fa spazio al proprio lato “materno”. Come ha dichiarato il regista (presentando il film al Cinema Mexico di Milano,dove Il padre d’Italia è programmato in esclusiva): «Non volevo fare un film gay, ho provato a raccontare due personaggi come due non etichettabili, in cui ci si potessero riconoscere tutti. E Paolo come un personaggio che, tra le altre cose, è gay. Più che un film sull’omogenitorialità è un film sull’adozione in generale. Paolo ha aspettato tutta la vita di essere adottato e solo grazie a un cavillo, la dichiarazione di Mia, diventa padre e adotta Italia». Stringendo così palesemente il fuoco sulla coppia protagonista, isolandola dalle interferenze del mondo (a parte il cellulare che rivela a Mia l’omosessualità di Paolo) è come se il regista la collocasse, più che in una dimensione sovratemporale, in un presente più consapevole, quasi ottativo. Una nuova era non solo del desiderio (dell’Acquario?) ma anche del coraggio, che finalmente riesca ad abbracciare il passato, superarlo, per credere in un futuro d’amore. Sempre in lotta con la fretta del cuore.