La fantascienza intima di Equals

equals-1Il bianco è il non-colore abbagliante, sia degli edifici sia degli abiti della maggior parte delle persone, che domina una società del futuro simile a una prigione. Meglio, a un manicomio, a un uno stratificato luogo d’internamento dove nulla è possibile vivere individualmente, dove tutto è controllato e gestito da meccanismi della ripetizione, di un’iterazione asettica: dallo svegliarsi al vestirsi, dal recarsi al posto di lavoro alle visite per il controllo della personalità, ovvero il suo annientamento. Alla strategia di un potere costruito sulla ricerca scientifica di un antidoto eterno che elimini le emozioni, e dunque impegnato a impedire qualsiasi contatto fra gli esseri umani, nessuno deve sfuggire. Nessuno dovrebbe sfuggire. Perché i ribelli esistono, e se sono bravi riescono a simulare, a non far affiorare le emozioni. Nia ci riesce meglio, Silas meno. Le conseguenze per i malati di emozioni saranno letali: detenzione ulteriore (perché tutti vivono, se si può parlare di vivere, già da detenuti), trattamenti simili a elettroshock, induzione al suicidio o condanna a morte.

 

Accade in Equals del regista californiano Drake Doremus (in concorso). E sembrerebbe una storia già nota. Ma come sempre, e ancor più nel cinema di genere, conta l’approccio non tanto, non solo, tematico quanto la variazione che sul pre-testo si può condurre. E Doremus elabora soluzioni interessanti nell’epoca della sperimentazione digitale della superficie visiva, delle sue pulsioni cromatiche, delle sue linee geometriche che tracciano labirinti di segni (qui, in una sezione al lavoro per questa società chiamata “Il Collettivo”, donne e uomini scrivono testi e li traducono in immagini su tavole-schermi trasparenti manipolabili all’infinito, contenenti un’immensità di dati-segni modificabili). Equals è una bella sorpresa, una fantascienza intima (viene da pensare, pur nelle differenze, all’operazione concettuale e fisica di-segnata da Jonathan Glazer in Under the Skin, per rimanere a un testo degli ultimi anni), un film fatto di continui avvicinamenti allontanamenti ri-avvicinamenti. Quelli che vedono coinvolti, contro le regole di questa nuova dittatura, Nia (Kristen Stewart) e Silas (Nicholas Hoult). Si studiano, osservano, non si parlano ma guardano da lontano e poi sempre più da vicino, si riconoscono diversi, ovvero ancora capaci di avere sentimenti, di cercare quell’amore mai provato essendo nati sotto quella cappa, dove anche il concepimento avviene per inseminazione, a distanza dei corpi. Il contatto è negato. Ma qualcosa potrebbe cambiare. EsCLFeIhKWUAASEIRiste il gruppo dei “nascosti”, sorta di resistenza. E per Nia e Silas, una volta scoperto e espresso l’amore e il sesso, la tenerezza dei gesti e la condivisione di complicità emotive, non potrà che esserci il tentativo della fuga, verso un mondo esterno esistente ma inesplorato. Possibili nuovi pionieri su un’isola deserta.

 

Sta, dunque, nel modo di tradurre questa materia narrativa in immagini la forza di Equals (il titolo fa riferimento alla paranoia di una dittatura, in questo caso digitale, che vorrebbe tutti uguali). Doremus lo fa con una camera a mano discreta, con una rappresentazione funzionale degli ambienti asettici (compreso un tunnel, più volte filmato, che collega i palazzi del lavoro all’ospedale dove vengono internati gli affetti da sindrome delle emozioni) e, per contro, con un filmare complice le scene di desiderio, sfioramento e accarezzamento dei volti e dei corpi di Nia e Silas, creando dissolvenze d’amore e una relazione credibile tra esperienze vissute e rievocate con effetti memoria dai due personaggi. Anche il bianco viene contaminato da altri cromatismi, variazioni blu, arancioni, e aloni di luce che, minando le immagini, minano la certezza sulla quale si basa “Il Collettivo”. Non si sa se Nia e Silas, dopo trappole superate, raggiunequals-nicholas-hoult-kristen-stewartgeranno la nuova terra, varcheranno il muro che protegge il potere e inibisce i comportamenti. Ci proveranno, le loro mani di nuovo vicine sul treno che li porta al confine. Lo sguardo tattile di Doremus è accanto a loro, fino all’ultima immagine. E oltre, nel loro viaggio in un altrove ignoto e verso il quale tendere.