La natura ossessivo-compulsiva dell’amore: I WeirDo, di Lao Ming-yi al Far East

Era noto principalmente come montatore, il taiwanese Lao Ming-yi, che qui segna il suo debutto alla regia nel lungometraggio (alle spalle aveva solo un corto realizzato nel 2011) in un’opera di folgorante tenerezza, presentata in anteprima streaming mondiale al Far East Film Festival 2020 – con la poco consueta modalità della proiezione unica, distinta quindi dal resto del catalogo che resta quasi interamente online per tutta la durata della manifestazione. I protagonisti di I WeirDo sono infatti Po-Ching e Ching, un ragazzo e una ragazza affetti da disturbo ossessivo-compulsivo, chiusi in case perennemente igienizzate per eliminare i germi, salvo avventurarsi periodicamente al supermercato bardati di mascherina, guanti e impermeabili. Proprio lì si conoscono e la comunanza del disturbo li spinge a intraprendere una platonica storia d’amore. La loro convivenza sarà però messa in crisi il giorno in cui lui, d’improvviso, “guarirà” e inizierà a vivere una vita “normale”, scavando così un solco con la compagna ancora prigioniera delle sue fobie. Girato interamente con un i-phone e giocato visivamente sulla prospettiva alterata di una realtà “ristretta” dal disturbo – un po’ come in Mommy di Xavier Dolan, il quadro è ridotto nel formato, salvo allargarsi quando Po-ching guarisce – il film è una commedia lieve che trascolora lentamente nel dramma mentre ribalta le categorie tradizionali: la malattia unisce mentre la normalità divide, e in questa differenza si situa la forza espressiva di un lavoro capace di intercettare un sentire tipico dei nostri tempi ipocondriaci e orientati al “distanziamento sociale” – gustosissima la prova del “primo bacio” che ai due appare come un insopportabile veicolo di sporcizia, nonostante su internet se ne magnifichino invece le proprietà terapeutiche.

 

 

Sganciato da ogni giudizio preconcetto e raccontato invece con delicata partecipazione, il rapporto fra i due personaggi diventa così una sorta di solidarietà comune che spinge a rinchiudersi in sé, in opposizione a un mondo esterno visto come ostile. Il che, naturalmente, richiama (anticipandolo perché la lavorazione si è svolta in un periodo pre-lockdown) il mondo dell’era Covid, allargando così il racconto di una dinamica di coppia a possibile lettura del particolare momento storico attuale. Dopotutto, il progetto ha una forza metaforica particolarmente flessibile, è possibile vederci riflessa l’alienazione della società postmoderna, la problematica situazione di “rapporto di vicinanza” fra le nazioni asiatiche (in questo caso Taiwan e la Cina), i fenomeni sociali come gli “hikikomori” giapponesi e chiunque può aggiungere le proprie esperienze personali, data la capacità di Lao di lavorare su dinamiche “piccole” e universali (il bisogno di una relazione, la paura del corpo, il conforto del noto). Proprio per questo I WeirDo ha il sapore di un piccolo haiku filmico, fatto con pochi elementi, due personaggi e un tono a metà fra l’iperrealistico e il fiabesco, grazie alle tinte vivaci e a un andamento da comic book, complice l’uso di inquadrature quasi sempre fisse cui viene impresso ritmo attraverso il montaggio. Il tutto conduce a uno sliding doors finale che ammanta la storia di una caratura da what if e che implementa ulteriormente la componente “astratta” di questa bizzarra storia, lasciando allo spettatore ogni decisione ultima, ma senza disperdere la riflessione agrodolce su quanto effimeri e inafferrabili restino i sentimenti, che si soffra di un disturbo o meno.