La prevalenza funeraria di Star Wars: L’ascesa di Skywalker di J. J. Abrams

“I morti parlano!”. Con queste parole prende vita l’ultimo cartello introduttivo colorato di giallo che per nove volte, dal 1977 a oggi, ha introdotto gli altrettanti episodi della saga creata da George Lucas. Una dichiarazione d’intenti, quella di J. J. Abrams, portare nuovamente in vita i defunti. Lo aveva già lasciato intuire quattro anni fa, quando al timone del primo film della più recente trilogia, Star Wars: Il risveglio della Forza (2015), provava a rispolverare un immaginario passato cercando di far dialogare il vecchio e il nuovo in maniera omogenea e convincente. Non deve quindi sorprenderci che, dopo aver ceduto il comando per l’episodio di mezzo a Rian Johnson, regista di Star Wars: Gli ultimi Jedi (2017), Abrams riparta proprio dal medesimo concetto per condurre la nave in porto. L’ascesa di Skywalker è un film funerario. Deve mettere la parola fine alla nuova trilogia e a una saga intera, provando però a rilanciare il franchise verso nuovi orizzonti o, quanto meno, verso la gloria eterna che abita i cuori degli spettatori di tutto il mondo. Si tratta di un compito arduo, carico di insidie e aspettative. Abrams sente probabilmente il peso del fardello e sembra voler giocare sulla difensiva, provando a incastrare tutti i pezzi al proprio posto, ad accontentare i fan con un climax ascendente dall’alto tasso epico e riabbracciando lo sguardo degli spettatori della prima ora “risuscitando”, appunto, i morti.

 

 

Han Solo, Luke Skywalker, C-3PO, la principessa Leia (o, meglio ancora, la sua interprete, Carrie Fisher, scomparsa qualche anno fa), Darth Vader, il senatore Palpatine, sono solo alcuni dei personaggi che torneranno a parlare, come se fossero tutti invitati alla grande festa commemorativa organizzata in loro memoria. L’ascesa di Skywalker vuole essere proprio questo, un lungo e sentito amarcord in equilibrio costante tra un malinconico addio e un rivoluzionario arrivederci (finisce la saga degli Skywalker, sicuramente non finisce l’universo Star Wars come già dimostrano le prime serie tv presentate sul canale streaming Disney+). In questa continua tensione, in questa delicata e scivolosa camminata funambolica sta tutto il rischio dell’operazione. Abrams si ritrova in mezzo a due fuochi: da un lato la Disney che necessita di una risonanza degna di nota e spinge per l’usato garantito dopo la delusione dell’episodio precedente, dall’altra la voglia di continuare a lasciare il segno provando a condurre la saga verso nuovi orizzonti, più audaci, meno sicuri. L’esito, in maniera piuttosto prevedibile, è un pareggio, un risultato politicamente corretto che non scontenta nessuno ma nemmeno esalta una delle due parti, ricco di sorprese e risvolti narrativi costantemente altalenanti tra ottime trovate e pessimi sviluppi. Resta quindi da interrogarsi sul senso effettivo di una simile operazione, quale valore abbia aggiunto al tutto e per quali motivi si sia deciso di dare nuova vita a un universo narrativo che, senza idee originali, rischia di appesantirsi sempre più e risultare loffio. Anche se, a onor del vero, quando si spengono le luci, si accendono le spade laser e la Forza torna a parlare a gran voce, nel bene o nel male è l’emozione ad avere la meglio. E al cuore non si comanda.