La prevalenza politico popolare di The Idol

The_Idol_IMG_8624-1-1024x682The Idol, il nuovo film di Hany Abu-Assad, racconta una storia vera. Romanzandola. Ma è una storia che è già un romanzo. The Idol ha per protagonista Mohammed Assaf, oggi celebrity mondiale e ambasciatore di buona volontà delle Nazioni Unite per l’UNRWA, l’agenzia che si occupa dei rifugiati palestinesi, ma che fino a tre anni fa era solo un cittadino del campo profughi di Khan Younis a Gaza, condannato a un futuro da prigioniero nella Striscia. Un giovane uomo che, come tutti i cittadini di Gaza, aveva un sogno: andarsene, fuggire dalla più grande prigione a cielo aperto del mondo: 360 chilometri quadrati, 1.700.000 abitanti, una tra le più alte densità al mondo, Hamas al governo dal 2006, Israele formalmente non più potenza occupante dal ritiro del 2005, di fatto amministratore delle vite immobili degli abitanti di Gaza, detenendo il controllo dello spazio aereo, delle acque territoriali, degli ingressi e delle uscite di merci ed esseri umani, non solo dal valico di Erez, che immette in Israele, ma anche indirettamente da quello di Rafah, che conduce in Egitto.

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Ed è proprio al Cairo che Mohammed Assaf deve andare quando scopre – nella seconda parte del film che ce lo presenta cresciuto, arrabbiato, alla guida di un taxi che gli dà da campare – che le selezioni per la seconda stagione di Arab Idol, si svolgono nella capitale egiziana. Pochi chilometri lo separano dalla meta predestinata, verso cui la prima parte del film, vero romanzo di formazione, l’ha inevitabilmente condotto. Il primo incontro con Mohammed è a 10 anni, la camera lo insegue in una corsa forsennata tra i vicoli del campo dove vive la sua famiglia. Altri giovani gazawi, poco dopo, metteranno in scena altre acrobazie, una simbolica sessione di “parkour” tra le rovine della guerra del 2014, battezzata da Israele “Protective Edge”, mai rimosse dalla Striscia e diventate ormai parte integrante del paesaggio, quelle stesse rovine su cui Banksy ha impresso la sua firma. The Idol è uno dei pochi film che negli ultimi decenni sia stato girato a Gaza. Non solo lì, naturalmente. Anche a Jenin, in Cisgiordania, a Beirut, al Cairo, ad Amman, meta ideale per qualunque regista palestinese che tenti di riproduecbeb46704c0db0d874c002e17e327bfrre entro altri confini il paesaggio della propria terra (i gemelli Arab e Tarzan Nasser lì hanno girato il loro Dégradé, presentato nel 2015 alla Semaine cannense). E non è questione da poco. Hamas non ama il cinema. Eppure doveva essere importante, forse anche per il partito islamista, lasciare che si raccontasse al mondo la storia di Mohammed Assaf, la cui vittoria alla finale di Arab Idol del 2013 (vista in diretta da 2 milioni di persone in tutto il mondo arabo) è diventata il simbolo di un trionfo collettivo. C’è un personaggio nel film, funzionale a rendere romanzesca la difficile uscita di Mohammed dalla Striscia, un compagno di giochi e di canzoni nell’infanzia, convertito poi al credo islamista e determinato a non lasciare che la frontiera di Rafah si apra per l’amico. E c’è un altro personaggio, determinante nel finalizzare la rabbia e la determinazione di Mohammed alla vittoria: la sorellina dodicenne Nour. Sicura di sé, audace, autoironica, Nour è la più convinta sostenitrice di Mohammed, certa com’è che la sua voce lo porterà lontano. Il resto è storia: l’esecuzione di Ali al-keffiyeh (“Levate le vostre Keffiyeh”), inno palestinese, alla finale di Arab Idol trasforma la vittoria di un singolo in un contest televisivo nella vittoria di un popolo. E da Millionaire (o È nata una stella) si passa allora alla complessità della situazione geopolitica di quella parte di mondo. Hany Abu-Assad che con i suoi due film precedenti, Paradise Now (2005) e Omar (2013) aveva affrontato questioni meno lievi (la vita di due aspiranti attentatori suicidi e il rapporto tra una riluttante spia palestinese e il suo reclutatore israeliano), realizza con The Idol un vero film politico popolare. Dicendoci che persino un luogo infernale come Gaza non ha le coordinate della disperazione, ma della resistenza.