Le nostre anime di notte di Ritesh Batra: prima che sia troppo tardi…

«Mi chiedevo se qualche volta ti andrebbe di venire a dormire da me». Comincia con una domanda semplice e (in)diretta la relazione tra Addie Moore e Louis Waters. Entrambi sulla settantina, sono vedovi da tempo e da tempo immemore sono vicini di casa, quindi nulla di più naturale che «attraversare la notte insieme» perché «le notti sono la cosa peggiore». Non si tratta di sesso, questione ormai da tempo superata, ma di mettere insieme le forze per contrastare la solitudine. La strana proposta viene fatta da Addie che si presenta una sera a casa di Louis. Lui è spiazzato, le chiede un po’ di tempo per pensarci, ma già il giorno successivo la chiama per accettare. Con pigiama e spazzolino da denti in un sacchetto di carta si presenta a casa di Addie, bussando alla porta posteriore per non destare sospetti nei vicini. Ha così inizio la loro frequentazione notturna, che presto diventa di pubblico dominio su insistenza di Addie che lo costringe a passare dalla porta principale perché, dice «Ho deciso di non badare a quello che pensa la gente. L’ho fatto per troppo tempo – per tutta la vita. Non voglio più vivere così». Addie e Louis iniziano così a conoscersi, perché nonostante siano vicini da tanto tempo non si conoscono veramente. La piccola comunità non rimane indifferente, gli amici si permettono qualche insinuazione di troppo che allontana Louis dal gruppo che ogni giorno si ritrova intorno al tavolo del bar, ma non da Addie, di cui anzi subisce l’influsso positivo visto che decide di spezzare la routine solo notturna e di invitarla fuori a pranzo la domenica. Poco alla volta i due diventano inseparabili, si confidano reciprocamente sentimenti relativi a fatti del passato (tradimenti, lutti…) che non hanno mai confidato a nessuno. In qualche maniera i due sembrano essersi scelti dopo una vita piena di rimpianti e di rimorsi. E Louis riesce anche a conquistare il nipotino di Addie, Jamie, in un momento difficile: Gene, suo padre, lo parcheggia per un periodo a casa di Addie visto che è stato lasciato dalla compagna ed è senza lavoro. In qualche maniera Addie, Louis e Jamie ricreano una famiglia ideale a cui si aggiunge presto il border collie Bonny, anche se poi il senso di colpa di Addie sembra prendere il sopravvento.

 

Tratto dall’omonimo romanzo di Kent Haruf, uscito postumo nel 2015, è stato sceneggiato da Scott Neustadter e Michael H. Weber (specializzati in commediole più o meno strappalacrime da Colpa delle stelle a (500) giorni insieme) e affidato alla regia di Ritesh Batra (fattosi conoscere nel 2013 per The Lunchbox), ma deve l’attenzione e il richiamo mediatico di cui è stato oggetto alla presenza di Jane Fonda e Robert Redford, che tornano a recitare insieme, a distanza di quasi quarant’anni, per la quarta volta dopo La caccia (1966, Arthur Penn), A piedi nudi nel parco (1967, Gene Saks) e Il cavaliere elettrico (1979, Sydney Pollack). Presentato Fuori concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia in occasione della consegna del Leone d’oro alla carriera a Redford e Fonda, è disponibile su Netflix dal 29 settembre. Il film celebra la gioia di vivere in maniera non banale, ma tradisce la sua derivazione letteraria, è poco agito ed è quasi esclusivamente affidato alla parola, soprattutto nella rievocazione del passato. Va in questo senso la scelta, vincente, di non ricorrere ai flashback, ma qualcosa sembra mancare come se si fosse proceduto a una normalizzazione per renderlo un film nostalgico in cui tutti i possibili conflitti vengono suggeriti, ma presto accantonati (per esempio il discorso delle colpe dei genitori che ricadono sui figli). «Abbiamo tutti una storia», dice Addie a un certo punto e forse questa è la chiave del film: vedere sullo schermo Robert Redford e Jane Fonda, due pezzi di storia (non solo del cinema).