Su MUBI L’uomo fedele di Louis Garrel: triangolo Nouvelle Vague

Un inizio che sfugge per tornare a ricomporsi pezzo dopo pezzo lungo tutto il film. Un uomo sta uscendo di casa ma la sua compagna lo ferma per parlargli. Deve dirgli che tra loro è finita, che lei è incinta e il padre è il suo miglior amico, Paul, che sposerà entro poche settimane. Un dialogo breve, che prelude a un cambiamento drastico e che pone il racconto in un contesto già avviato. Si è già dentro i fatti, che, però, stanno cambiando velocemente per Abel e Marianne (attenzione ai nomi, che sono omaggi cinefili e suggestioni letterarie), “sorpresi” quasi per sbaglio davanti alla macchina da presa mentre le loro vite stanno cambiando. Quattro anni dopo l’esordio di Les deux amis, scritto con Christophe Honoré, Louis Garrel torna alla regia con un altro triangolo amoroso, più un fantasma, e lo fa con l’ironia lieve che rende questo film una riflessione leggera sul cinema, sulla semplicità del quotidiano e sulla concentrazione. Il fatto stesso che L’uomo fedele sia stato girato in pellicola, ci dice molto dell’economia del segno di rosselliniana memoria, che Garrell adotta come metodo, attento ai tempi, quasi come fosse un giallo, e alle tonalità, che da sole bastano a suggerire idee e personaltà.

 

 

Scritto a quattro mani con Jean-Claude Carrière, L’uomo fedele non prescinde dalla Nouvelle Vague e da Truffaut (a partire dall’inizio), non prescinde da Philippe Garrell, ma è anche qualcosa di diverso, interpretato da uno sguardo che vive nel presente e lo restituisce al pubblico con gli angoli smussati della commedia. Ritroviamo i personaggi nove anni dopo, al funerale di Paul, morto all’improvviso nel sonno, lasciando di fatto di nuovo libero lo spazio che aveva occupato. Perchè una profonda ellisse divide il prima e il dopo e di Paul non vedremo mai il volto, neppure in fotografia, ma la sua presenza sarà ingombrante e beffarda fino alla fine. Non è lui, tuttavia, a comporre il terzo elemento del triangolo, bensì la sorella di lui Eve, innamorata di Abel fin da ragazzina, pronta ad uscire allo scoperto proprio nel momento in cui Abel e Marianne riprendono la loro relazione da dove si era interrotta. Il gioco più sottile e geniale in questo film è tra le finte simmetrie, anzi, tra le proporzioni che saltano sempre in favore di uno schema libero e in costante disequilibrio. D’altra parte si tratta della storia di un uomo fedele, lineare dunque, che tradisce per eccesso di fedeltà in un contesto di linee spezzate e di affetti caotici, sbandati, vacui e inutilmente ingabbiati. Ritratto di un uomo dalla disarmante semplicità, che, dichiara di non saper parlare ai bambini “se li tratto da adulti non funziona, se li tratto da bambini nemmeno”, dice a proposito del figlio di Paul, che potrebbe essere suo figlio. E nel suo andirivieni dalla casa di Marianne a quella di Eve, con bagagli fisici ed esistenziali trasportati con immutata leggerezza, Abel costruisce un rapporto solido con questo bambino, senza neppure accorgersene.