Neruda – Romanzo edonista

neruda-2Gli ultimi giorni di Pablo Neruda in Cile prima del suo esilio devono essere stati intensi e spaventosi da far girare la testa, o almeno, è così che ce li racconta Pablo Larraín in Neruda, film completamente sdoppiato, tra la lucidità politica del poeta, che spenderà parole taglienti come lame per il suo antagonista, e un’ardita, asimmetrica e quasi inverosimile rappresentazione della realtà interiore dello stesso poeta. Il fatto, però, è che non esiste lo scarto tra i due livelli, non si tratta dei due lati della stessa medaglia, ma di una superficie liquida in cui far convergere la realtà e il suo opposto. L’inizio è brillante e indicativo: in un bagno elegante e barocco del Parlamento cileno Neruda lancia la sua invettiva contro il governo, colpevole di aver tradito la causa comunista (ma usa la parola “ratto” contro il presidente Videla per definirlo con tutta la sua rabbia). Si avverte già forte un pungente sarcasmo, la sensazione di una nota stonata, che diventerà il modo con cui descrivere il fuori e il dentro, ciò che accade al Cile e di riflesso al grande poeta dell’amore, l’uomo capace di dare alla parola tutto il suo valore poeticopolitico.

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Eppure Larraín descrive quest’uomo nelle sue molteplici identità, da quando pronuncia il discorso “Io accuso” davanti al senato cileno, il 6 gennaio 1948, con i nomi dei minatori imprigionati dal governo sempre più fascistizzato di Videla, a quando, mascherato da antico romano, declama i suoi versi in una delle molte feste ospitate nella sua casa. Non mancano, infatti, i contrasti in questo film, che sono gli stessi del suo protagonista (grazie ad un montaggio fatto di piccoli shock e di tante cesure, comunista stalinista di cristallino rigore, ed edonista dedito ad una vita di piaceri ed eccessi. “A quale modello di comunista assomiglierà quello cileno?” chiede una donna a Neruda. “Sarà come te, o come me, che sono una proletaria?” il silenzio che segue è più che mai eloquente, in un film dove la parola ha un peso importante, di politica e di poesia, appunto. “Solo con una pazienza ardente conquisteremo la splendida città che darà luce e dignità a tutti gli uomini. Così, la poesia non avrà cantato invano”, scriverà più tardi Neruda, insignito del Premio Nobel. Ma questo film trabocca di uno sguardo artificiale e per questo splendidamente teorico. Non quindi, una biografia, né il resoconto semplice di fatti in successione cronologica. Al centro dell’interesse del regista c’è solo il magma che impregna la vita del su79-nerudao personaggio, tenacemente fisico (non a caso Larraín lo affida al comico Luis Gnecco) e tenacemente onirico, sempre sopra le righe di un discorso che travalica il senso urgente del contesto. E così i colori si raggrumano in tonalità seppia e malva (viene in mente il verde bottiglia di Joyce), i piani sequenza diventano parte di una grammatica quasi morbosa, proprio come lo sguardo dell’ispettore interpretato da Gael García Bernal. Sua la voce fuori campo che conduce il racconto, suo lo spaesamento di una ricerca che lo lascia sempre orfano della preda che per otto mesi cerca di raggiungere invano. Lui, così desideroso di un padre da inventarselo per avere un’identità, cade vittima prima di tutto del suo stesso straniamento. Nemesi letteraria del suo rivale e vittima di una fascinazione che conduce il film su un piano di geniale astrazione, l’unico modo possibile per restituire la figura complessa dell’uomo Neruda, caleidoscopio di luci e ombre e portatore di un punto di vista impossibile da sintetizzare. Un film che è un poliziesco (come le storie amate da Neruda) nei panni del road movie, indagine selvaggia quando devia verso la deriva esistenziale impossibile da circoscrivere. Perché impossibile è anche trovare una sola definizione per la personalità del poeta. “Nessuno rimane esattamente com’era all’inizio, né il cacciatore, né la preda. Abbiamo inventato un mondo, esattamente come Neruda ha inventato il suo. Il film che abbiamo fatto è più un film ‘nerudiano’ che un film su Neruda; o forse è entrambe le cose. Abbiamo creato un romanzo che ci avrebbe fatto piacere che Neruda leggesse”, dice Larraín.