Orgoglio e libertà a Trabzon: Mustang, l’esordio di Deniz Gamze Ergüven su RaiPlay

Mustang_03 Almeno tre sono le realtà definite con il nome “mustang”: una razza di cavalli semi­-selvaggi del Nord America; una regione himalayana del Nepal, a confine con il Tibet; un fortunatissimo modello di auto sportiva della Ford, che l’ha rilanciata da poco in una nuova versione, anche in Italia. Quale sia il reale significato del titolo turco (rimasto invariato nella distribuzione internazionale) non è dato sapere con certezza, ma indubbiamente, alla luce delle vicende narrate nel film omonimo, si può ipotizzare che il riferimento al cavallo “wild and free”sia quello più adeguato. La regista Deniz Gamze Ergüven, al suo debutto, racconta infatti la storia di cinque sorelle (la piccola Lale, che offre il proprio punto di vista alla narrazione; poi Nur, Ece, Selma e Sonay) che vivono in un villaggio nei pressi di Trabzon, sul Mar Nero. Ragazze belle, allegre, di famiglia agiata, sebbene orfane di genitori e dunque cresciute con la comprensiva nonna e il dispotico (e ottuso) zio. È quest’ultimo a vincere la contesa interna con la madre, dopo che le fanciulle sono state additate al pubblico disprezzo per essersi lasciate andare a innocenti giochi nell’acqua (vestite, perdipiù) insieme ai compagni maschi per festeggiare la fine dell’anno scolastico. No, nella Turchia di oggi ­ che sta riscoprendo atavici retaggi, formalismi e derive fondamentaliste che sembravano spazzate via dalla visione laica di Atatürk e che sono invece tornate prepotentemente con la gestione padronale di Erdogan ­ proprio non si può; ancora meno se vivi in provincia, ai confini dell’impero. E allora alla nonna non resta che isolare le ragazze dalle amicizie coltivate e prepararle, dopo visita medica che ne certifichi la persistente verginità, a matrimoni combinati e di buon livello. Di fronte a quella crescente restrizione della libertà che precede le nozze delle sorelle maggiori, si rivela la diversa personalità delle cinque: tutte, più o meno, si ribellano allo stato delle cose, ma ciascuna a proprio modo. Mentre l’universo maschile si manifesta in tutta la sua rozzezza culturale, ideologica e perfino nell’ipocrisia rivestita di superficiale religiosità, che ha solo rari, ma significativi,spiragli di umanità convinta e non intimorita in qualche personaggio di contorno.

 

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Facile il rimando del film a un altro esordio: quello di Sofia Coppola, nel 1999, con Il giardino delle vergini suicide, rispetto al quale c’è perfino la coincidenza numerica delle sorelle coinvolte. Ma in quel caso, ambientato a Detroit negli anni Settanta, la “reclusione” nasceva da un eccesso (morboso) di premura genitoriale, anche se erano il bigottismo portato all’eccesso e l’incapacità di ascolto della madre il motore della vicenda dagli esiti tragici. La Coppola si faceva così conoscere in modo eclatante dal mondo, ed evidenziava uno stile sorprendentemente maturo, molto sorvegliato, certo frutto anche della frequentazione di tanto padre (il mitico Francis Ford). Ma a tratti appariva addirittura troppo costruita nella gestione di una materia dalle moltelpici implicazioni sociali e psicologiche. Qui invece la Ergüven ha un approccio genuino, molto fresco (anche se tutt’altro che ingenuo) al contesto che rappresenta e che dipinge come generalmente opprimente, ancestralmente maschilista e dunque gretto, prepotente, perché non abituato all’opposizione, alla contrarietà, a un’altra visione. Lo fa con tocco femminile, delicato, fotografando in maniera tale da dichiarare comprensione e simpatia per le protagoniste senza tuttavia perdere la visione d’insieme. Forte di interpreti deliziose, Mustang è un film potente per la riflessione magari non nuovissima, ma ben rinnovata sotto il profilo stilistico, con cui una cinematografia in forte ascesa come quella turca (innervata da contributi francesi) riesce a riflettere sulle contraddizioni della propria società e mettere in discussione pregiudizi radicati. Bello, per fi227073nire, il fatto che i francesi, per definizione sciovinisti e nazionalisti, abbiamo candidato all’Oscar per il miglior film straniero un’opera che solo in minima parte è attribuibile al loro movimento cinematografico. Chapeau!