Piuma. La sostenibile leggerezza della commedia

piuma-2832Molta dell’attenzione mediatica riservata a Piuma è stata probabilmente conseguenza diretta del dibattito scatenatosi al momento della sua presentazione, in Concorso, alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia. Dibattito che verteva su una domanda: se una commedia (giovanilistica), questa commedia, fosse o meno film da Festival. Netta prevalenza dei No rispetto ai Sì; la sfida secca è d’altronde di stretta attualità, ora trasferita in ambito politico-referendario.
Passate alcune settimane, ed arrivato il film di Roan Johnson nelle sale, la contesa si può osservare da una giusta distanza. Ma la domanda resta quella: era film da Festival? Viene buona, in proposito, la prospettiva laterale (gesuita) che produce non una risposta, ma un’altra domanda: quali sono le caratteristiche di un film da Festival? E poiché quest’ultima èquestione scivolosa, la soluzione non si trova. Meglio ragionare delle caratteristiche del film, allora. Gravato da aspettative esagerate per la sua fragile struttura, Piuma ha rischiato di perdere la leggerezza racchiusa nel titolo, che rappresenta invece il suo maggior pregio. Difficile capire se il passaggio veneziano in Concorso abbia infatti giovato a questa piccola opera italiana, diretta dal regista anglo-toscano Roan Johnson, che si era fatto notare – se non proprio apprezzare in maniera uniforme – con Fino a qui tutto bene (2014), dopo prove cinematografiche (I primi della lista) e televisive (I delitti del Barlume, serie tratta da
Malvaldi) non memorabili. A conti fatti, non gli ha portato bene la prevalenza del giudizio sulla
inadeguatezza alla gara; ma sulla posizione incide pure, penalizzando oltremisura Piuma, la
fumosa querelle sulla legittimità delle commedie a concorrere per il Leone d’Oro, dimenticando che in gara si è visto di peggio, e in generi meno soggetti a censure e pregiudizi.
 

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La storia narrata nel film focalizza l’attenzione su Ferro e Cate, una coppia di studenti romani di
borgata che – con la maturità in vista e un viaggio in Marocco già pianificato insieme ai compagni
di classe – si ritrovano invece a dover gestire la nascita di un figlio. I due paiono fin troppo maturi, almeno in principio, nel gestire la situazione; mentre i loro genitori sembrano messi decisamente peggio, spaesati e impreparati (o inadeguati) rispetto alla responsabilità che bussa alla porta. Il nascituro, ovviamente, non aspetta, che loro siano pronti o meno: da qui lo scatenarsi di situazioni tra il realistico, il tenero e il grottesco – amplificate da un ambiente che sbatte in faccia ai protagonisti tutta la sua accidiosa indifferenza – che fanno sorridere parecchio e qualche volta ridere di gusto. Optando per una registro narrativo che privilegia la levità scolpita nel titolo, Johnson non riesce tuttavia a elevarsi dalla abusata categoria del carino in cui staziona troppo cinema contemporaneo, specie italiano. Ed è semmai questa mediocritas (non troppo aurea) che rende di difficile comprensione le ragioni profonde del suo inserimento nel Concorso principale, non certo l’appartenenza a un genere. Genere che, per rimanere alla competizione lagunare, ha messo in risalto un esemplare di notevole qualità: l’argentino El ciudadano ilustre, premiato con la Coppa Volpi per la miglior interpretazione piuma32maschile (Oscar Martínez), facendo il paio con il medesimo riconoscimento a Fabrice Luchini, nel 2015, pure per una commedia, in quel caso transalpina. Ciò detto, lo sguardo del regista è fresco (a maggior ragione se confrontato con l’algida presunzione del Muccino in versione universitaria di L’estate addosso, esso pure transitato dal Lido), oltre che scevro da tentazioni di giudizio morale; e l’evidente alchimia tra attori e personaggi aiuta il film a raggiungere un’ampia sufficienza. I richiami a Little Miss Sunshine e, soprattutto, a Scialla sono evidenti: anche qui, infatti, si parla poco d’amore e molto più di responsabilità; perfino, a tratti, con un pizzico di esplicito cinismo. Scelta narrativa azzeccata, favorita da una scrittura ironica ed essenziale, mentre sul piano stilistico prevale il pianosequenza, che non è certo una caratteristica abituale della commedia. Tra le curiosità relative al film, due meritano un’attenzione speciale. Una riguarda Johnson stesso, che ha utilizzato il lavoro anche in funzione auto-terapeutica: scrivendo la sceneggiatura (insieme a Ottavia Maddeddu, Carlotta Massimi e Davide Lantieri) ha infatti vinto la paura di essere padre. La seconda è relativa alla colonna sonora, che trova in un brano romantico scritto da Francesca Michielin su musica di Colin Munroe e April Bender (Almeno tu, già presente nell’album del 2015, di20) il suo pezzo forte. La ragazza di Bassano del Grappa, precoce vincitrice di un talent e seconda all’ultimo Sanremo, ha molte frecce nel suo arco: sta studiando composizione al Conservatorio e, avendo Ennio Morricone come stella polare, aspira a comporre commenti per il cinema. Per lei vale lo stesso discorso spendibile per Roan Johnson: al momento manca forse qualcosa, ma cresceranno.