Quando la babysitter è un mestiere pericoloso. Gli adolescenti irrequieti di Safe Neighborhood

off_safeneighborhood_02_credits_seanoreillyQuando i titoli di testa goticheggianti si stagliano vermigli sul candore della neve di dicembre, si capisce che nulla di buono sta per accadere nel quartiere mostrato sullo sfondo, imbiancato e immerso nella tranquillità tipica delle aree residenziali. Safe Neighborhood (quartiere sicuro), trae da qui il suo titolo secondo quello spirito ironico e beffardo con cui Chris Peckover racconta, anche dopo i titoli di coda, la sua storia natalizia a base di horror e thriller, mescolando i cliché di genere per capovolgerli e costruire un film divertente e dal buon ritmo sull’innocenza del male e le derive dell’adolescenza moderna. Per ammissione dello stesso regista, qui alla sua seconda prova con il lungometraggio dopo l’horror Undocumented del 2010, l’intento del film – passato al 34. Torino Film Festival in After Hours – è quello di raccontare in maniera diversa la realtà adolescenziale delle nuove generazioni negli aspetti più controversi della crescita e delle esperienze sessuali. Gli eventi della trama sono messi in moto infatti dal desiderio di Luke, dodicenne, di sedurre la babysitter Ashley, a cui viene affidato una sera durante le festività natalizie. Sembra però Halloween, anziché Natale: nonostante gli addobbi e le calze rosse appese al caminetto, la tv manda in onda film horror, mentre fuori dall’uscio di casa si fanno avanti presenze poco rassicuranti.

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Peckover non ci mostra ovviamente nulla di nuovo, sfruttando tematiche e soluzioni per niente inedite, soprattutto quando all’avanzare della storia le premesse iniziali si ribaltano e si rivela la vena sadica del piccolo protagonista, astuto faccia d’angelo dalla natura perversa su cui il cinema ha già avuto modo di riflettere in maniera esaustiva (da Giglio nero di LeRoy ad Halloween di Carpenter al più leggero Piccola peste di Dugan). Sebbene la storia segua gli schemi classici dell’home invasion (ombre fugaci alle finestre, rumori di intrusione, sagome armate nei corridoi), è dall’interno che la casa finisce  paradossalmente per essere presa in ostaggio, ricordandoci come la minaccia alle nostre sicurezze non trovi necessariamente altrove un’origine, ma possa anche celarsi tra le mura domestiche dietro il volto dell’innocenza apparente. Peckover gioca allora con gli stereotipi del genere in una serie di rimandi metalinguistici (il film horror che danno in tv ne è una chiara allusione). Riesce a spiazzare e divertire cedendo più volte all’ironia, complice la sceneggiatura co-scritta con Zack Kahn, e senza mai compiacersi degli elementi più sanguinosi, anche quando questi si fanno truculenti nella spirale di violenza tutta passionale (i fattori scatenanti sono pur sempre la gelosia e il rifiuto del rapporto sessuale). E’ chiaro che il regista abbia voluto rendere sullo schermo gli aspetti più discussi che segnano le nuove generazioni, dalla sessualità più diretta  e disinibita alla violenza lucida e senza rimorsi, spesso giustificata con l’alibi della giovane età. Il risultato è una buona prova di regia sostenuta dall’ottimo cast in cui ritroviamo la coppia di ragazzi già vista nel recente The visit (Olivia DeJonge e Ed Oxenbould), e soprattutto Levi Miller, capace di dare enfasi con la giusta ambiguità ai lati malvagi del suo personaggio.