Servants di Ivan Ostrochovsky, la Cecoslovacchia degli ’80 tra Chiesa e Partito

Un bianco e nero rigido, che taglia i contorni, li rende netti occultando le sfumature, le ombre. Ancorché didascalico, l’orientamento fotografico dato da Ivan Ostrochovsky alla sua opera seconda, Servants (nel concorso Ecounters della Berlinale 70), è coerente con la scena storica in cui si cala. Siamo nella Cecoslovacchia dei primi anni ’80 e il regime comunista cerca di stringere il controllo sulla chiesa cattolica. Il chiaroscuro non ha spazio per coltivare il dubbio e i due giovani sacerdoti appena arrivati in seminario devono scegliere da che parte stare. Da una parte c’è la Chiesa che cerca di mantenere una sua indipendenza, dall’altra c’è il partito comunista che, attraverso l’organizzazione pseudocattolica Pacem in Terris pretende di porre sotto controllo i sacerdoti e attraverso loro i fedeli. Su questa linea Ostrochovsky costruisce un film che insiste sul clima di oppressione, azzerando qualsiasi funzione spirituale e psicologica, cercando piuttosto di elaborare una tensione molto stilizzata, che lavora sulla ritmica delle inquadrature per esaltare i tagli di campo, le prospettive, le rifiniture.

 

 

La pesantezza fisica dei personaggi, l’attenzione per i loro corpi, è la stessa che si trovava nel suo primo film, quel Koza che lavorava sulla storia di un ex pugile olimpionico in cerca di nuovo riscatto. Però in Servants Ostrochovsky sembra meno vicino alla sostanza umana dei suoi protagonisti, attento più che altro a costruire una gabbia figurativa in cui farli muovere in maniera paradigmatica. Il divario che crea tra i due giovani seminaristi al centro della vicenda è meccanico, elaborato sulla dialettica tra accettazione e rifiuto della sottomissione. D’altro canto il film non cerca nemmeno di problematizzare il contrasto tra le complementari dimensioni dogmatiche proposte dalla Chiesa e dal Partito a fronte della ricerca spirituale offerta dalla fede religiosa. E il raffronto offerto in questa direzione dall’inquietante personaggio dell’agente di partito (interpretato dal Vlad Ivanov attore feticcio di Porumboiu) è un’occasione mancata per definire in chiave problematica proprio quel tema della condizione di “servitore” di un sistema al quale il titolo del film fa riferimento. Servants resta in definitiva un film astratto, in cui si percepisce prevalentemente la distanza della Storia, la tensione verso la rievocazione di un’epoca e del suo clima oppressivo, da cui si ricava poco. Sarà che Ostrochovsky era un bambino all’epoca dei fatti che racconta, ma quello che manca al film è il respiro del tempo, quella pregnanza psicologica e sociale che a una storia del genere avrebbe dato, per esempio, un regista come Krzysztof Kieslowski.