Su Disney+ la versione live action di Lilli e il vagabondo

I primi sono stati La carica dei 101 e Mowgli – Il libro della giungla, negli anni ’90, cui ha fatto seguito, nel corso degli anni Dieci del Duemila, una massiva produzione di adattamenti in live action dei suoi classici di animazione: Cenerentola, Dumbo, Il re leone, solo per citare alcuni titoli. Altri sono in arrivo, come Mulan, La sirenetta, La spada nella roccia. Parliamo naturalmente della Disney, che ha da poco lanciato la piattaforma streaming Disney+, alla quale ha riservato la distribuzione esclusiva dell’ultimo di questi adattamenti, Lilli e il vagabondo. Diretto da Charlie Bean, il remake dell’omonimo film d’animazione del 1955 ricalca la trama dell’originale: la notte di Natale Gianni Caro regala alla moglie, Tesoro, una cucciola di cocker spaniel che chiamano Lilli. La cagnolina trascorre le giornate tra le coccole dei suoi padroni e le conversazioni con gli amici, il bloodhound Fido e la terrier scozzese Jackie. L’idillio si rompe quando Tesoro rimane incinta e le attenzioni della coppia si concentrano sulla nascitura, come predetto dal vagabondo Biagio, capitato per caso nel giardino della casa di Lilli fuggendo dallo spietato accalappiacani Elliot. Se l’impianto narrativo si discosta solo marginalmente dal classico degli anni ’50, le differenze nella versione live action sono comunque plurime, a partire dalla caratterizzazione dei personaggi: Lilli assume una connotazione più moderna e così le sue azioni, come il difendersi attivamente da un cane che la minaccia dopo la fuga dal negozio dove la perfida zia l’ha condotta per farle mettere la museruola, o il lanciarsi senza esitazione all’inseguimento dell’accalappiacani che ha catturato il compagno, mentre del Vagabondo vengono approfondite le ragioni che l’hanno portato a diventare un cane di strada e le relative conseguenze psicologiche. Anche Tesoro è un personaggio femminile al passo con i tempi, in grado di sfidare apertamente l’accalappiacani e lottare per il bene degli amici a quattro zampe. Vira al femminile anche la trasformazione del terrier Whiskey in Jackie, frizzante cagnetta-modella per l’eccentrica padrona pittrice, e quella del figlio di Gianni e Tesoro in una bambina, Lulu.

 

 

Ma le differenze più vistose che riguardano gli umani del film sono sicuramente la caratterizzazione di coppia interraziale dei padroni di Lilli, nonché l’essere parte attiva del divenire delle azioni: in questo live action, infatti, la dimensione canina e quella umana si equivalgono, laddove nel ’55 gli umani erano visti e inquadrati ad altezza di cane ed era pressoché impossibile scorgerne i volti. La versione del 2019 cerca di rielaborare anche elementi discutibili e fonte di critiche a quella precedente, come la forte impronta orientaleggiante dei due gatti siamesi, eccessivamente “cinesi” nel loro essere dispettosi, trasformati qui in due devon rex con un peculiare gusto per l’interior design. Il film, ambientato nel sud degli Stati Uniti a inizio ‘900, presenta infatti una società etnicamente più integrata di quella del racconto da cui la storia è tratta, Happy Dan, The Whistling Dog di Ward Greene, e della sua prima trasposizione cinematografica. I fondali fiabeschi dell’originale vengono sapientemente ricreati dallo scenografo Premio Oscar John Myhre, restituendone l’atmosfera magica, e i cani, tutti trovatelli selezionati da canili (e tutti adottati a fine riprese), grazie a interventi contenuti di CGI non fanno rimpiangere le loro versioni animate, neanche nell’iconica scena della cena romantica a base di spaghetti con le polpette. L’elemento che pare mancare alla pellicola sono le ombre: la dicotomia bene-male viene livellata nell’opposizione netta tra amanti dei cani e loro nemici, mentre nel cartone animato anche la casa dei padroni di Lilli veniva ammantata dal buio della sofferenza della cagnetta per l’esclusione dalla vita dei due, ormai divenuti genitori. Così il canile appare luogo più cupo nella prima versione, e la scena, ivi ambientata, dei cani che piangono per la paura di essere soppressi resta di un’incisività struggente, che manca in questo adattamento. Nel complesso ci troviamo di fronte a un buon prodotto per famiglie, psychologically correct, il cui linguaggio contemporaneo e la straordinaria dolcezza degli interpreti a quattro zampe faranno sicuramente breccia nel cuore degli spettatori, grandi e piccoli.