TFF37 – L’importanza di chiamarsi Jessie: Scream, Queen! My Nightmare on Elm Street, di Roman Chimienti e Tyler Jensen

In un dialogo estemporaneo che, nell’imminenza del trentacinquesimo anniversario, sta unendo tra loro più festival, si va riscrivendo la storia di Nightmare 2 – La rivincita, aprendo interessanti e inedite coordinate di senso nel percorso del new horror. Dopo l’omaggio al regista Jack Sholder tributato dal XXXIX Fantafestival, ora è il Torino Film Festival a occuparsi del film, attraverso la prospettiva offerta da vita e carriera dell’interprete Mark Patton. Si incentra su di lui, infatti, l’ottimo documentario Scream, Queen! My Nightmare on Elm Street, diretto da Roman Chimienti e Tyler Jensen, presentato nel festival piemontese nell’ambito della sezione After Hours. Già promettente attore, Patton ebbe proprio nel primo sequel della saga l’occasione di “rivincita” dall’eterno ruolo del comprimario di bell’aspetto, buono solo per spot e copertine, interpretando finalmente il protagonista Jessie. Peccato che il film sia poi stato indicato come il peggior capitolo della saga – lo stesso Robert Englund negli anni Novanta sentenziava perentorio che “ha completamente mancato il personaggio”. Parte della cattiva risposta derivava poi anche dalle analisi che lo indicavano quale “primo horror gay”, con Freddy Krueger nel ruolo del demone “pulsionale” contro cui doveva lottare Jessie, in un tripudio di scene dalla chiara valenza omoerotica e bdsm. L’argomento era infatti tabù a metà degli anni Ottanta, epoca di Aids, repubblicani al potere e omofobia strisciante nella società, ancor più in un genere percepito come vicino al pubblico adolescente, nonostante i divieti del caso. Il povero Patton ne pagò così le spese: marchiato professionalmente e umanamente da vicende personali, con il paradosso di essere un gay non dichiarato, costretto a un forzato e incompreso coming out su celluloide (orchestrato dallo sceneggiatore David Chaskin che negli anni ha sempre negato), l’attore si ritirò quindi dalle scene, facendo perdere le sue tracce.

 

 

Il documentario diventa così l’occasione per Patton, anche produttore, di raccontare la sua storia e scendere a patti con quel film-marchio che, però, negli anni è stato riconsiderato quale coraggioso pioniere nella rappresentazione problematica sui dubbi che attanagliano un adolescente nel pieno del riconoscimento della propria identità sessuale. Il percorso, condiviso da fan che in quella pellicola hanno avuto l’occasione di elaborare un argomento altrimenti considerato “vietato”, ha così trovato la sua attuazione in un tour nelle convention di genere e nel toccante e chiarificatore incontro finale con lo stesso Chaskin. Il film diventa in questo modo occasione di confronto con le dinamiche del new horror quale genere sempre fertile per sperimentazioni e rottura dei tabù, in netta opposizione agli umori conservatori del proprio tempo. Scream, Queen! (titolo che allude all’innovativa scelta di Nightmare 2 di utilizzare un protagonista maschile nel ruolo della vittima in pericolo, tradizionalmente affibbiato alle ragazze) diventa perciò uno specchio nel quale riconoscere tutte le dinamiche di affiliazione e elaborazione che legano gli appassionati al genere, più di ogni altro capace di parlare di tematiche adulte in contesti ludici e spettacolari. Che sia l’omosessualità, il bullismo o l’intolleranza che spinge a innalzare paletti (e che naturalmente crea forti risonanze col presente), il documentario diventa una porta che si apre sul non detto, attraverso la formula del video diario in cui Patton si racconta mentre porta avanti il suo percorso di riconciliazione con il personaggio di Jessie, oggi tanto amato dal pubblico. In questo modo, il lavoro di Chimienti e Jensen ribalta agilmente le prospettive e quel film “peggiore” diventa il sequel con più carattere e originalità della saga, che sbugiarda anche gli odierni e idilliaci ritratti degli anni Ottanta, decennio al contrario rivisto nella sua caratura più problematica e oppressiva. Il tutto unisce una bella sensibilità umana alla componente più esteriore e spettacolare dell’horror, evidenziata dai rituali delle convention, dove il processo di analisi della storia privata di Patton, si unisce alla rievocazione ludica e divertita delle scene cult del film e ai parallelismi con la parte più coreografica del cosplay e delle drag queen. Un modo ulteriore per elaborare l’eterno gioco di specchi fra realtà e rappresentazione, generi e tematiche, vita vissuta e la capacità del cinema di saper lasciare realmente un segno nel tempo.