The Accountant, la pericolosa “partita doppia” di un contabile

the-accountant-2La storia di The Accountant si potrebbe racchiudere fra due momenti che ci rivelano il senso privilegiato di un film sin troppo colmo di avvenimenti e personaggi sopra le righe, sebbene, sotto certi punti di vista, nel finale tutto sembri incastrarsi e acquisire una sua compiutezza: nel primo, il bimbo autistico protagonista riesce con abilità quasi soprannaturale a risolvere un puzzle alla rovescia, componendo una figura grigia indistinta dietro cui è raffigurato il pugile Cassius Clay vincitore sul ring; nel secondo momento, ultimi minuti del film, uno dei personaggi ha tra le mani una riproduzione economica di un quadro della serie “Dogs playing poker” di Cassius Marcellus Coolidge (un altro Cassius), che però dietro un’immagine fittizia cela la tela di un Pollock originale, dal valore inestimabile. Entrambi gli oggetti ci rimandano al classico dualismo apparenza/realtà, invitandoci a non fermarci alla superficie delle cose e a non cadere nella trappola dei giudizi affrettati, ma piuttosto di provare a comprendere meglio quello che ci sta dinanzi per coglierne il reale significato e le potenzialità.

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Passa tutto da qui il filo rosso della pellicola di Gavin O’Connor, che prende spunto dalla comune convinzione che l’autismo costituisca un impedimento alla vita normale di un bambino, per raccontarci, in maniera sicuramente eccessiva e ipertrofica, quanto in verità siano il pregiudizio e la paura della diversità ad essere il pericolo più grande. La stessa diversità con cui convive dall’infanzia il protagonista del film, Christian Wolff (Ben Affleck), affetto da una forma di disturbo neurologico che però non gli ha impedito di trovare un suo posto nel mondo, per quanto ambiguo e fuori legge possa essere. Christian, genio dei conti e della matematica, non è infatti un semplice contabile: dotato di un quoziente intellettivo fuori dal comune e forte di una formazione militare ricevuta con ossessiva crudeltà dal padre, cura con scaltrezza le finanze di gruppi criminali, servendosi di identità fittizie, sorta di partita doppia esistenziale. La sua routine si interrompe quando accetta l’ingaggio della Living Robotics, che vuole indagare su un buco di bilancio, mentregli uomini del Dipartimento del Tesoro iniziano a dargli una caccia sfrenata. Ossessionato dal passato e dal bisogno di concludere ogni cosa cominciata, Chris è un personaggio a metà tra l’antieroe e il supereroe, dalla moralità oscillante, contraddittorio, e inaspettatamente violento, capace di mettere al tappeto chiunque in poche mosse (è evidente il rimando di Affleck al suo Batman, interpretato nel film di Snyder). Interessante per la sua complessità, ma tuttavia inserito in un impianto narrativo che se da un lato riverbera fino alla fine il concetto di verità celate, da ricostruire come si fa con un rompicapo – personaggi e sottotrame non sempre sono quello che sembrano –, dall’altro diventa fin troppo fitto di eventi, di intrecci di azione e punti di vista; i generi si mescolano e il racconto diviene esageratamente caotico, confuso, in netto contrasto con le due parentesi entro cui il film si svolge, dove entriamo nell’Harbor Neuroscience Institute che si prende cura dei bambini autistici, luogo in cui emergono le difficoltà dei genitori obbligati a confrontarsi coni problemi dei figli. Un tema cruciale in The Accountant, quello dei legami familiari, i cui rimandi si ritrovano più volte nello sviluppo narrativo (dal rapporto con il padre a quello traumatico con il fratello, metaforicamente la tessera mancante del puzzle iniziale indispensabile a chiudere la storia). Il tutto si  somma a qualche cliché di troppo – pensiamo per esempio allo sbandamento di Chris innescato dall’amore – che contribuisce alla debolezza di una storia troppo densa e traboccante, raccontata da un regista a suo agio più con l’azione e l’eccesso, che con il senso di equilibrio e sobrietà.