The Circle, la trasparenza nuda dell’umanità

Prima ancora che una internet company proiettata verso l’accentramento di ogni servizio online possibile e immaginabile, The Circle è lo specchio di un’idea di mondo insidiosa e ambigua, proposta sotto le spoglie seducenti di una realtà dove tutto può essere migliore quando si è “trasparenti”, dove non esistono segreti e ciascuno può essere se stesso. Perché “i segreti sono bugie”. Le forme essenziali di un logo – un cerchio rosso interrotto solo dal nome aziendale – racchiudono la promessa di un futuro ideale in cui l’umanità è perennemente connessa, e la serenità e la sicurezza sono a portata di mano. Il cerchio dunque come forma geometrica perfetta, dalla quale probabilmente è impossibile fuggire. Anche Mae (Emma  Watson) è sedotta dalla fascinazione di questa visione utopica, quando viene assunta dall’azienda e manipolata dal suo fondatore Eamon Bailey (Tom Hanks), che la spinge a rinunciare alla sua privacy; prima con l’uso ossessivo del social network TruYou, poi con la proposta di farsi protagonista di un progetto orwelliano che la renda completamente visibile al mondo, osservatore morboso di ogni aspetto della sua quotidianità, come prova generale di un disegno proiettato su tutta l’umanità.
 

 
Non si fatica a cogliere i riferimenti all’oggi nel film di James Ponsoldt (The Circle ricorda un misto dei due colossi del web Google e Facebook), che del romanzo Il cerchio di Dave Eggers coglie l’atmosfera hi-tech malsana e distopica, quella di una civiltà-fotocopia della nostra in cui l’urgenza sociale della condivisione online, del rendersi pubblici ad ogni costo, si tramuta nel desiderio, indotto, di rinunciare alla privacy, intesa subdolamente come un ostacolo all’onestà, alla giustizia, alla democrazia, al rispetto dei diritti umani. Una persuasione così radicata anche nella nostra società reale, che nella strategia del guru Bailey di rendere suadente e accattivante ogni servizio ideato, trova forte eco nelle quotidiane lusinghe di seducenti politici e mistificatori. Così spiare chiunque, in ogni luogo, attraverso le videocamere tascabili “SeeChange”, apparentemente non dà mai il sospetto di infrangere la natura etica di rapporti spalancati sul rispetto di ogni segretezza possibile, ma diventa sempre la formula preferita di una schiavitù dell’essere: l’individuo risulta violabile in una nudità totale di sé e dei propri comportamenti, privato anche delle difese più elementari. Tuttavia queste urgenti tematiche si afflosciano nel film, che paga anche il confronto inevitabile con Black Mirror: pur nel suo didascalismo, un qualsiasi episodio di questa serie si dimostra più efficace nel definire futuri possibili in cui le tecnologie riescono a condizionare perfino il modo di intendere la vita dopo la morte. In The Circle invece la priorità sembra essere quella di descrivere meramente un contesto alterato e non quella di identificare le insidie e la manipolazione di un sistema che ha come primario obiettivo quello di appropriarsi della vita degli individui, lasciando loro l’illusione di partecipare a una socialità appagante. Non a caso anche la sottotraccia thriller finisce per essere trascurata a vantaggio di una pedissequa elaborazione situazionistica. Riflettendo su quanto le persone siano disposte a sacrificare della loro vita, a concedere i propri dati, in nome di un piacere esaustivo per la propria realizzazione, il film propone comunque l’idea di una realtà di controllo già in atto; e non è nemmeno così azzardata la possibilità di intravvedere un paragone tra i personaggi a capo di questa società digitalizzata, che si guardano comunque bene dall’aderire alle stesse pratiche di trasparenza, e quelli che ogni giorno professano, nella realtà, una disinvolta supremazia quasi teocratica della Rete, dalla politica alla finanza. Alla fine del cerchio, al ritorno al punto di partenza (cui il film aderisce con una sua circolarità narrativa), l’anello rosso del logo, che rende tutti prigionieri della sua fantomatica realtà trasparente, consente solo un’ipotetica via di evasione, quella di abbracciare The circle come forma assoluta di identità perfetta, negando quindi perfettamente quella stessa possibilità di fuga, in una sorta di algebrico zero. Non a caso un ulteriore cerchio.