Tra convivenza e connivenza: L’intrusa di Leonardo Di Costanzo su MUBI

Si guardano a distanza, Giovanna e Maria, strette nel perimetro di una relazione che dall’accoglienza s’è ritrovata costretta nello spazio angusto della sopravvivenza. Un intreccio di rancori, paure, tensioni, incomprensioni, in cui L’intrusa di Leonardo Di Costanzo si muove seguendo traiettorie interlocutorie: non concilianti né tanto meno conciliate. Accento nordico, erre arrotondata, il piglio autorevole e semplice di una donna di mezza età che sa guidare le relazioni a tutti i livelli, Giovanna governa nel cuore popolare di Napoli un centro di accoglienza chiamato “La Masseria”. Di fronte a lei c’è Maria: giovane, minuta, arroccata nella rabbia delle donne che stanno accanto a uomini pericolosi, ha ottenuto accoglienza nel centro assieme ai figli, ma nella casetta in un angolo della Masseria in cui vive s’è nascosto anche il marito latitante, accusato dell’uccisione di un giovane innocente durante un regolamenti di conti. Quando la polizia lo arresta, Maria decide di non andare con la famiglia del marito ma di rimanere lì e allora lo spazio che separa Giovanna e Maria finisce con l’unire la convivenza con la connivenza. Dove finisca l’una e inizi l’altra non è più ben chiaro per nessuno: né per Giovanna, che si ritrova contro gli abitanti del quartiere e le stesse istituzioni, con la scuola che decide di non far partecipare più gli alunni ai laboratori del centro; né per Maria, che resta sospesa tra la sua appartenenza a un uomo che tutti detestano e il bisogno di identificarsi in sé, come donna e madre della piccola Rita.

 

 

Leonardo Di Costanzo si muove in questo perimetro, cercando di capire chi, in fin dei conti, sia la vera intrusa in una scena che contempla tutta la confusione morale dei contesti in cui giusto e sbagliato si sfiorano fatalmente. È Maria l’intrusa nello spazio di accoglienza, legalità, armonia costruito da Giovanna per il quartiere? O magari l’intrusa è proprio Giovanna, che, in un contesto fatalmente polarizzato tra gente giusta e gente sbagliata, porta la sua razionalità e il suo senso dell’eguaglianza nell’accoglienza? E se l’intrusa fosse la piccola Rita, catalizzatore di reazioni e rifiuti degli adulti e incolpevole elemento di disturbo nella scena dell’innocenza infantile che ruota attorno ai laboratori della masseria? Di Costanzo ha l’intelligenza di non polarizzare il suo giudizio, lascia che le ragioni risuonino in ogni parte, preferisce lavorare proprio sulla complessità della scena. Il perimetro chiuso della Masseria è lo spazio di una narrazione che si costruisce sul punto di fuga offerto dalla casupola in cui si arrocca Maria, linee prospettiche percorse dalla piccola Rita e da Giovanna, sensi di marcia opposti che si trovano a metà strada. Come ne L’intervallo tutto avviene in una realtà separata , uno spazio un po’ magico in cui le relazioni trovano una ragione differente rispetto al mondo che preme dall’esterno, duro e crudele, incapace di fare sconti. Fuori i bambini scoprono mani mozzate che giacciono sotto i cavalcavia, dentro con pezzi di vecchie biciclette costruiscono uomini meccanici da portare festosamente in processione. La casupola in cui Rita e Maria si arroccano è quasi uno scampolo da fiaba che resiste nello spazio incantato garantito dall’accoglienza prima offerta e poi pretesa. La resistenza di Maria corrisponde alla resistenza di Giovanna: questa donna così palesemente estranea a quel contesto è la ragione più profonda del film, il motivo su cui Di Costanzo basa il dissidio di una società che deve porsi l’interrogativo su cosa significhi davvero accogliere, confrontarsi, cercare un dialogo, mediare. Ed è nella sua estraneità che il film trova la propria traccia stilistica, che non corrisponde a realismi documentari e a gradi zero della messa in scena: Di Costanzo lavora semmai proprio su una caratura scenica piena e consapevole, sin dalla costruzione della scena della Masseria e, soprattutto, sin dai dialoghi che sentono la responsabilità di dover dire delle cose, prima ancora che l’urgenza di voler essere realistici. Anche la scelta di una figura come quella di Raffaella Giordano per il ruolo di Giovanna lavora ineccepibilmente in questo senso. Certo, manca l’incanto de L’intervallo, la sua astrazione adolescenziale, ma questo è un lavoro molto più ruvido, duro, un film di intrusioni, di confronti dinamici, di disamoramenti obbligati. Non è un film facile: per nulla conciliato né conciliante.