Venezia 76 – La vita dopo il dolore: Madre di Rodrigo Sorogoyen

Come continua la vita dopo la più dolorosa delle separazioni, quella tra una madre e un figlio? Se lo devono essere chiesti in molti dopo la folgorante visione di Madre, acclamato cortometraggio di Rodrigo Sorogoyen, che fra le altre cose aveva anche conquistato una nomination all’Oscar. In poco più di quindici minuti, girati con un unico piano sequenza, Elena comunica con il figlio di sei anni per telefono. Il bambino è rimasto solo su una spiaggia francese mentre il padre si è allontanato, ha paura e a un certo punto viene avvicinato da uno sconosciuto, mentre la batteria non regge per lasciare il tempo alla donna di capire cosa succede dopo. Un “thriller” telefonico, che nel virtuosismo tecnico e recitativo lasciava anche aperte molte possibilità di esplorazione delle paure legate all’affetto filiale. Quella risposta arriva oggi, perché Sorogoyen ha ampliato il progetto in un lungometraggio (presentato a Venezia 76 nella sezione Orizzonti), che nella parte iniziale ricrea la storia del corto e poi la prosegue: torna la protagonista, la bellissima Marta Nieto, che dopo il trauma trascorre dieci anni a lavorare in un bar sulla stessa spiaggia francese dove è avvenuto il fattaccio che l’ha privata del suo bambino. Qui, un giorno, crede di riconoscere il figlio in Gregory, un adolescente in vacanza sullo stesso posto. Inizia così fra i due un rapporto molto particolare, che ben presto assume i contorni di un legame unico e con sfumature ossessive.

 

 

Il virtuosismo dell’incipit lascia così il posto a una direzione più attenta a restituire la complessità delle emozioni messe in campo da un vuoto nella vita dei due protagonisti, che è in attesa di essere riempito. La storia di Elena è chiaramente sotto i riflettori, più umbratile è invece il ritratto di Gregory, che ha alle spalle un amore fallito e un rapporto con amici e parenti apparentemente pacificato, ma che a tratti lascia emergere delle conflittualità e la voglia di esprimere un individualismo che vada al di là delle convenzioni. Per questo i due protagonisti si cercano continuamente, desiderosi di conoscersi a vicenda, senza alcuno scopo che non sia quello di trascorrere dei momenti insieme, senza nemmeno un contatto fisico, solo per condividere uno spazio e un tempo, fra chiacchiere di vita quotidiana e passeggiate sulla spiaggia o nel bosco. Il ruolo di madre e figlio, evocato dalla tragedia del passato, non è mai esplicitato fino in fondo: lei è amica e complice, non gli vieta nulla, condivide le sue esperienze a base di alcool e feste sulla spiaggia, abbattendo gli steccati dell’età e dei ruoli codificati. La conoscenza diventa così la chiave di lettura di un percorso che per Elena è dichiaratamente un viaggio “dal buio verso la luce, dalla morte alla vita, dalla colpa al perdono, dalla paura all’amore”. Sorogoyen è complice della sua protagonista, partecipa delle sue ossessioni, dei suoi errori e dei suoi sbalzi d’umore, in un rapporto che nasce come voglia di ricucire uno strappo, ma diventa nel frattempo qualcos’altro. Il ritratto di donna che così ne emerge è composito: Elena reca sul corpo i segni dei dieci anni nel frattempo trascorsi, emana allo stesso tempo un candore fanciullesco, mentre esprime una innata sensualità che è però non è mai espressa in un rapporto reale: non a caso, nel suo percorso di “ritorno alla vita” l’unico legame che ne farà realmente le spese sarà quello con il suo compagno. Tra la voglia di rompere le convenzioni per raccontare un amore assoluto come quello materno, ma concreto nella quotidianità di due persone che si imparano a conoscere e si sentono attratte l’una dall’altra, sta naturalmente la ricercata ambiguità, che a volte Sorogoyen cavalca con furbizia (si veda il campo lungo sull’auto con i due protagonisti da soli, che vuole dire e non dire, suggerendo una certa dose di malizia e reticenza). La complicità che il suo sguardo riesce comunque a suscitare nei confronti di Elena, il modo partecipe con cui la mdp la pedina nelle sue peregrinazioni all’insegna della confusione emotiva, lasciano comunque pochi dubbi circa l’efficacia di un film complesso e che non si dimentica.